look serie tv

The Handmaid's Tale: distopia e femminismo

C’era una volta, nel 1985, un romanzo dal titolo “Il racconto dell’ancella” di Margaret Atwood.

Qualcuno deve averlo letto e pensato “oh, non è nemmeno un po’ ansioso, facciamocene una serie tv”. E fu così che ad Hulu hanno deciso di produrre 10 episodi da 42 minuti.

Il concept è semplice ed inquietante: il mondo come lo conosciamo oggi non esiste più, esiste però una società che si è resa conto che le donne fertili sono pochissime. Perché allora non governare il tutto con un regime maschilista, estremista, cattivissimo, e schiavizzare le donne in grado di avere ancora bambini mettendole al servizio dei potenti in un mondo regolato da leggi tutte nuove e in cui le donne non contano più una mazza? MA CHE BELLA IDEA.

Il pilot è esteticamente splendido, i costumi sono perfetti nel rappresentare tutto il disagio che le ancelle sono costrette a vivere, tra stupri, violenze e lavaggi del cervello: indossano tuniche lunghissime rosse e cappelli che ricordano quelli delle suore, bianchi e coi paraocchi.

Tra tutte le ancelline, oltre ad una Rory Gilmore cresciuta, spicca la povera Offred, una FAVOLOSA Elisabeth Moss che sta zitta e buona solo per tentare di uscire da questo mondo orribile e recuperare sua figlia, rapita al primo frame del pilot. Peccato che ognuna di loro abbia un Eye, ovvero una spia, che ha il compito di controllare ogni minimo comportamento e denunciare eventuali stranezze.

Se ve la sentite di sobbarcarvi un immenso peso visivo, con questa fotografia che ti fa entrare violentemente nel mood Società Malata, guardatelo. In mezzo a tanta monnezza, un esercizio di stile così è una grandissima boccata d’aria. Pesante, ma bella.


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di Francesca Giorgetti

29 anni, ultimamente romana ma pratese per sempre. Appassionata a livelli patologici di serie tv e Maria De Filippi. Lavora in tv e scrive di serie anche su Io Veramente Guarda.

One Tree Hill. Del basket chissenefrega, ma quanta bellezza

Su Rai2, tanti anni orsono, andava in onda una serie tv bellliiissima con uno dei personaggi meglio scritti di sempre: Brooke Davis.

A Tree Hill la gente si vestiva tendenzialmente molto male, soprattutto la povera svantaggiata Hailey che inspiegabilmente è finita a sposarsi quello gnocco di Nathan. La gente ancora a giro si chiede “in che senso?”, visto che lei osava uscire di casa coi poncho di lana e delle scarpe che manco quelle ortopediche erano così antiestestiche.

Peyton, in compenso, era una cifra triste e già che c’era lo esternava con i suoi vestiti neri, le sue giacche di pelle e i suoi disegni tanto tanto macabri. Tanto disagio, tanti problemi, ma quanto era bona mannaggia a lei.

Certo, mai quanto Brooke che, se nelle prime stagioni andava in giro vestita da vacca e si faceva trovare nuda nelle macchine dei compagni di classe (Brooke io ti amo, ci hai insegnato tanto nella vita), nelle ultime era diventata un donnino per bene con la sua linea di moda favolosa e quasi elegante.

Poi beh, c’erano gli uomini. Nathan, come già detto, era molto notevole. Ma pure Lucas, tenebroso e noioso quanto basta, faceva la sua porchissima figura coi vestiti da povero che gli davano in dote. INDIMENTICABILE la scena del pilot in cui lui viene quasi investito dalla macchina di Peyton mentre passa con quella felpa grigia con cappuccio che ha fatto storia.

Belli, e bravi, TUTTI.

(Tranne Mouth. Lui porello proprio no.)


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UnReal. La metatelevisione in grande spolvero

Lifetime solitamente non si presenta come un canale favoloso con programmi favolosi, ha partorito per lo più sciocchezze e poi, a un certo punto, ha deciso di fare il figo e ha mandato in onda una serie che s'intitola UnReal. E da lì applausi.

UnReal è un drama che racconta il dietro le quinte del fittizio Everlasting, reality che si ispira neanche troppo velatamente a The Bachelor, programmone di punta della televisione americana arrivato alla ventesima (!) stagione.

In Everlasting, un bono deve conoscere tante bone e infine sceglierne una con cui amarsi forever. Un po' come Uomini & Donne ma con decisamente meno stile.

Le pretendenti vengono pilotate con tantissima cattiveria dalla show runner e dalla produttrice esecutiva, entrambe persone davvero orribili che venderebbero la madre per una lacrima delle corteggiatrici. Gli outfit della serie tv caratterizzano molto i personaggi, tant'è che nella prima inquadratura Rachel (Shiri Appleby di Roswell!!), la produttrice cattiva, ha una maglietta con scritto "This is what a feminist look like". Spoiler: Rachel non è femminista MAI. E' pazza e ninfomane.

Tutte le concorrenti intanto sono vestite da debuttanti con vestiti lunghissimi e fintamente romantici (che si potrebbero tranquillamente trovare su un qualsiasi negozio della Tuscolana) o in alternativa con dei bikini striminziti per fare le vacche col protagonista.

Tutto molto bello, soprattutto la cruda spietatezza con cui viene raccontato il torbido mondo della televisione. E gente, credetemi, È TUTTO VERO.


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Sex & The City. Il surplus del kitch e del tamarro

Sì sì siam sempre là, la fine degli anni '90 ci han regalato tante ma tante gioie e blablabla.

Oltre a Friends, oltre a DC (nope, non Democrazia Cristiana, Dawson's Creek), oltre a Buffy, c'è stata una serie tv che è diventata la bibbia delle ragazze che scrivono “ihihihi” quando ridono (per voi, nessuna pietà), di quelle che condividono le frasi stupide su Facebook e che hanno magliette con mantra tipo “Meglio morta sui tacchi che viva in ballerine” (che comunque oh, è vero).

Carrie, Miranda, Charlotte e Samantha vivevano a New York, amavano uomini per lo più erratissimi, si ubriacavano, si volevano molto bene e, soprattutto, si vestivano COLORATISSIME.

Ispirato al libro che ha ispirato la serie, c'era l'impatto visivo che aiutava un sacco la narrazione. I vestiti erano infatti una sorta di personaggio secondario molto ma molto invadente, esattamente come New York.

I vestiti erano parte talmente fondamentale della serie che intere puntate si basavano sulla scelta delle scarpe giuste, su feticisti dei piedi, sull'outfit perfetto per l'appuntamento, su sandali che si sporcavano di LIQUIDO AMNIOTICO quando l'amica stava per partorire (?) e vere e proprie storie d'amore con borse e vestitini. Cose incredibili ma che han spianato la strada per serie tv come Gossip Girl in cui la costumista prendeva davvero ma davvero tanti soldi.

Perché tra tutto quello che Carrie e le amichette sue ci hanno insegnato, è che un paio di scarpe DAVVERO ti possono svoltare la vita. E lo so, è una frase da Cessa, ma questo ci ha lasciato in eredità la serialità di quegli anni, che tocca fare?

E il filone “ODDIO I VESTITI SONO IMPORTANTISSIMI PER I FILM LE SERIE TV LA VITA” è andato avanti, confermandosi, quando nel film di Sex & the City l'abito da sposa di Carrie l'ha disegnato Vivienne Westwood. Do you know Vivienne?


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Jessica Jones. Un giubbotto di pelle fa miracoli

C'è Netflix, c'è la Marvel.

Questi due colossi han deciso un giorno di produrre Jessica Jones, una serie molto molto bella e un sacco cazzuta su una detective privata con dei superopoteri ossessionata da un cattivo DAVVERO cattivo che l'ha devastata e ultimamente la stalkera: Kilgrave.

Interpretato dall'eccelso David Tennant, l'antagonista della serie ha un potere incredibile, ovvero far fare alla gente ciò che lui vuole riducendoli in una sorta di sudditanza psicologica. Praticamente come il mio ex. Solo che questo tra le altre cose fa suicidare la gente, che è un po' peggio.

Jessica, però, oltre ad avere una forza sovrumana ed essere astiosissima vs. the world, ha una caratteristica favolosa; si veste SOLO con giubbotto di pelle, felpe grigie, stivali neri e jeans stretti nella sua 40. Kristen Ritter che la interpreta perfettamente ha avuto dei traumi giganti e tra le altre cose ha deciso che la sua uniforme da supereroina sarà proprio quella di una qualsiasi ragazza che si veste da Zara Trf. Per fortuna a dare un tocco di colore al tutto, oltre ai completi di Kilgrave, c'è l'amica di Jessica Trish che si veste da bona stratosferica quale è in ogni puntata, così come l'avvocatessa ELEGANTISSIMA Jeri interpretata dall'androgina Carrie Ann Moss. Brave tutte.

La serie intanto è stata riconfermata per la seconda stagione e a sto punto c'è solo da sperare che nella prossima la nostra Jessica non indossi MAI MAI MAI l'ormai famoso Chiodo Giallo di Zara. Lì sì che le puntate avrebbero tutto un altro spessore stilistico.


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Scream Queens: Mean Girls assassine ma vestite bene

Ryan Murphy e Brad Falchuck con il marciume ci vanno a nozze, ce l'hanno dimostrato coi vari American Horror Story e pure con Glee, che di elegante aveva davvero poco.

A questo giro, i delicati signori ci raccontano della Kappa Kappa Tau, una sorority in cui le ragazze vengono uccise con una facilità rara dal fantomatico Red Devil, un killer vestito uguale uguale alla mascotte della scuola.

A capo della confraternita c'è la lievemente psicopatica Chanel Oberlin che ad ogni entrata in scena sfoggia outfit che levatevi tutti, un po' come le sue galoppine, Chanel #2, Chanel #3 e Chanel #4. Nomi sobri per gente sobria.

Durante tutta la prima stagione, tra un assassinio e l'altro (ogni puntata muore qualcuno, così per democrazia), pellicce, piume, tubini, PARAORECCHIE CON LE ORECCHIE DA GATTO, completi Chanel colorati e gonne pelosissime la scoattano in mezzo alla scena.

La gente si è talmente infognata con il guardaroba delle protagoniste che basta googlare “Scream Queens outfits” per essere inondati da siti in cui è possibile trovare le copie cinesate dei vestiti, tumblr di ragazzine ossessionate, classifiche delle pellicce più sobrie usate da Chanel e tanto tanto altro.

Inutile dire che il reparto costumi ha fatto sì che la serie passasse da semplice trash a trash antologico. Tra qualche anno rivedremo le nostre Chanel preferite e probabilmente, come succede sempre, urleremo il grande classico usato finora solo per gli anni '90 “MACOMECAZZOANDAVANOAGIROQUESTE?”


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Buffy l'ammazza vampiri. Essere tamarri negli anni '90

Io me lo ricordo. Quei sòla di Italia1 nella loro fuorviante pubbicità dissero "Dopo Dawson's Creek, ecco il telefilm che ha fatto innamorare milioni di adolescenti".

COSA STAI DICENDO STUPIDO SPEAKER, COSA? Dawson's Creek e Buffy non c'entravano una mazza perdioh. Sì, c'era la storiona d'amore noia tra Angel e Buffy, Spike era forse un po' Pacey ma dai su, una ammazzava i vampiri e l'altro si faceva le pippe sui film di Spielberg, di cosa stiamo parlando?

Però gli anni erano quelli, i drammi d'amore pure e gli outfit beh... siam lì.

A differenza dell'origine di tutti i mali (DC), in Buffy c'erano linee comiche costanti, ironia a tranci, e una scrittura che scusate ma Kevin Williamson se la sognava (episodio "The Body", chi dimentica è complice).

Tra un'escalation qualitativa e l'altra che levatevi tutti, Buffy ci ha però regalato delle lezioni di stile veramente rare, specie nella prima stagione.
La povera Willow, paziente 0 della Nerd Televisiva, tra salopette DI LANA, capelli lunghi lunghi a madonna e gonne di velluto a costine urlava forte un "Sono disadattata però vah vah quant ne so".

Xander, mannaggia a lui, se non si metteva una camicia hawaiiana su camiciola in ogni puntata no, lui non era contento.

Cordelia, Dio la benedica, portava una ventata di vaccaggine che era un piacere.

E, last but not least, Buffy. Lei sì che gli altri no.

Stivali alti fino al ginocchio? Celo

Minigonne di pelle? Celo

Vestitini neri stretti stretti? Celo

Collarini di velluto? Celo

E via libera sulle ali del vento ad impalettare vampiri nei cimiteri.

Anni '90, we miss you.


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Dawson's creek. La morte di spensieratezza e stile

Se sei una persona nata negli anni '80/'90, è quasi impossibile che tu sia riuscita a scampare la messa in onda di Dawson's Creek. Per molti di noi, il telefilm creato da quel genio del male di Kevin Williamson è molto più di un programma tv. È la fottuta bibbia di tutti i nostri problemi adolescenziali. Come se i dramaaa delle storyline non bastassero (Jack e Doug, vi meritate una famiglia bellissima), le costumiste hanno pensato bene di regalarci lezioni di stile che, col senno di poi, sono un grandissimo MACOMECAZZOANDAVANOAGIRO?
La povera Joey era tutto un "sono povera e ho vestiti da povera", con quei top e quei maglioncini di flanella che addosso a lei facevano anche una discreta figura (facile se sei bona, eh?) ma se si provava a copiarne lo stile era per tutte noi La Fine.
Quello svantaggiato di Dawson, che già stava come stava con quel taglio di capelli imbarazzante, veniva vestito da quei sadici della produzione quasi esclusivamente con camicie da boscaiolo larghissime e gilet di lana su t-shirt bianche. Jen, tesoro bello, arrivava nella prima stagione con la nomèa da vacca di New York e poi me la facevano andare in giro per Capeside con maglioncini a collo alto, camiciette e vestitini anche piuttosto casti. Baldracca WHO?

Per grazia in mezzo a questa banda di stolti c'era Pacey, che lo potevi pure vestire con un saio e lui sì che era sempre favoloso. Sì, anche con le meches bionde.

A noi di quella generazione di sfigati, tutta discorsi noiosi e disagi, mancava solo di avere come punti di riferimento ragazzini vestiti normali, in effetti. Menomale poi è arrivato Gossip Girl, in cui ti potevi fare bei pianti bramando outfit che nessuno di noi potrà probabilmente mai permettersi.


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The Good Wife. Eleganza, bellezza e tailleur favola

Lo dicono tutti da un sacco di tempo ma la gente è scema e si perde cose meravigliose: The Good Wife è una delle serie migliori in circolazione e non molla da sette anni. Nel corso delle sue stagioni, letteralmente una più bella dell’altra, la Buona Moglie è passata da un look quasi imbarazzante, da casalinga castigata e triste nei primi episodi, a sfoggiare outfit incredibili ed elegantissimi da milf acculturata. La favolosa Julianna Margulies, ultimamente anche produttrice esecutiva della serie che la vede protagonista, si diverte a indossare tailleur fintamente castigati per interpretare la parte dell’avvocatessa cazzutissima e precisissima, anche e soprattutto nello scegliere le sue giacche e camicie perfettamente abbinate alle gonne rigorosamente lunghezza ginocchio.

Se nella prima stagione la povera Alicia Florrick si ritrovava impantanata in uno scandalo molto poco grazioso (il marito beccato in flagrante con diverse prostitute), in queste ultimi anni la nostra si è pienamente ripresa, ha fondato uno studio legale, l’ha abbandonato, s’è messa in proprio, è diventata socia di un altro studio, ha amato, ha perso l’amore e l’ha quasi ritrovato. Il tutto indossando dei “power dress” che la metà bastava, looking fierce e soprattutto una cifra chic.
Perché per essere donne coi controcoglioni, è bene vestirsi in maniera più femminile possibile, così per sviare i poveri disperati che incontri per strada.

P.S.
Per capire QUANTO la gente sia andata in fissa coi costumi di scena di Julianna, basti vedere quaEsiste un video con TUTTI gli outfit di OGNI episodio. La gente è scema, appunto. Ma anche geniale.


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Lena Dunham. Quando essere bone è da sfigate

Avete presente quell'espressione orribile e fastidiosa “la voce di una generazione”? Ecco, sono davvero poche le volte in cui è concesso usarla perché tende sempre a dar l’idea di boiata pazzesca. Uno dei casi in cui però è più che lecito usarla è quando si parla di Lena Dunham. Nata nell'86 a New York è diventata nel giro di pochi anni una genialità ambulante grazie al suo Girls, dramedy della HBO che ha ideato, dirige, sceneggia, recita e in cui si spoglia. Il suo spogliarsi però, finalmente, è DAVVERO funzionale alla storia. Il suo personaggio, Hanna Horvath, vive le stesse ansie mie e tue di ogni giorno. Si sente un cesso, crede di essere una fallita ma in realtà ha una mal celata autostima ed un ego che riempirebbe l’Europa, si trucca poco e male, ha tatuaggi improbabili di CASE SULLA SCHIENA e, ormai, sta bene così. Esorcizza tutte le sue insicurezze mettendosi, letteralmente, a nudo. E già che c’è, vuole far capire anche a noi povere quanto sia bello e giusto potersi andar bene così. Hanna, ed evidentemente anche Lena, è arrivata ad un punto dell’esistenza in cui “Oh, io sono questa. Che tocca fà?” In Girls è circondata da amiche bone e favolose, ed ora che siamo arrivati alla quinta serie, è ciò un cruccio per lei? No. Perché? Perché fottesega. Loro saranno sì bone e favolose ma lei ha dalla sua la quasi irraggiungibile e tanto agognata sicurezza di sé. Vuoi mettere? Portar bene la bruttezza (povera Lena, neanche troppa a dire il vero) è un dono, essere genie talentuose ed avere a 30 anni all’attivo un libro, un film, una serie tv e una newsletter femminista (Lenny Letter) lo è altrettanto. E Lena ci ricorda ogni giorno tramite il suo profilo Instagram quanto in realtà essere bone sia da sfigate.


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Broad City: due amiche deficienti a New York

C’è una serie, in onda su Comedy Central e prodotta da Amy Poehler, il cui sunto potrebbe essere tranquillamente: due ragazze ebree fuori come i culi che cazzeggiano a giro per New York.

Abbi e Ilana sono due trentenni amiche del cuore, una più rincoglionita dell’altra, che tentano - ognuna a modo proprio - di sopravvivere in quella città diffiiiicile che è New York. Ebree entrambe, sono i personaggi alter ego delle due creatrici della serie, Abbi Jacobson e Ilana Glazer, a cui danno corpo e voce recitando nella loro creazione facendo restare gli spettatori sempre in bilico tra il "WTF?" e il "GENIEEEEHH!".

Il tema di una delle ultime puntate andate in onda è un grande classico argomento di un sacco di film e telefilm: lo scambio d’identità. Qui non c’è il desiderio forte forte di trovarsi nei panni l'una dell’altra e il risveglio col desiderio esaudito ma c’è Ilana (la più marcia tra le due) che chiede ad Abbi di fingere di essere lei, così da lavorare al posto suo nel negozio bio da zecche in cui per poter comprare le zucchine a km 0 bisogna fare volontariato altrimenti vieni cacciato dalla responsabile del negozio, una hippy vecchia e sporchissima che allatta un bambino invisibile avvolto in cento coperte. Abbi ovviamente accetta ed Ilana le fa una sorta di lezione intensiva su come essere lei. Parlare dicendo cose senza senso è il primo passo, essere strafatta di erba il secondo e vestirsi come fossero i ruggenti anni ’80 il terzo, fondamentale.

Il look INCREDIBILE di Ilana è infatti uno dei segni particolari della serie che oltre ad avere riferimenti pop commoventi (nell’intro della prima puntata della terza serie Abbi ha il vestito bianco e oro, Ilana quello nero e blu, do you know?*) punta tantissimo sulla follia totale delle due protagoniste, una delle quali caratterizzata anche e soprattutto coi costumi, appunto.

Leggins a vita alta, crop top di rete, marsupi, borse minuscole allacciate in vita, shorts shortissimi a vita alta, cappellini improbabili, smoking da uomo e maglioncini per cani minuscoli usati come top. Perché Ilana è sobria ed elegante. Il suo malcelato odio per qualsiasi forma di lavoro e la totale incapacità di essere anche solo vagamente opportuna nel modo in cui si presenta è una cosa che a te spettatore fa sentire un sacco meno solo e anche se sai che quella roba allucinante che ha addosso può starbene solo a lei, una nana dai capelli ricci e la bocca larga coi tratti tipicamente ebrei, a una certa ti vien voglia di lanciar via le cose dell’armadio e dire “ma sticazzi, ci posso andare anch’io a giro così, con gli orecchini dorati con scritto LATINA, coi marsupi e con le camicie annodate sotto le tette”. O forse no.

Magari per continuare ad avere una più o meno sana vita da adulte lavoratrici è più consigliabile buttarsi sullo stile di Abbi, già più unadinoi con i suoi jeans, magliette, vestitini e una comprensibilissima voglia di sembrare, almeno all’apparenza, normale.
 

*L'unico, inimitabile, #TheDress


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