Shoot the runner

La fatica nello sport è sofferenza ma fino a che punto ne vale la pena?

“Correre con il mal di gola”, “correre con l’influenza” “correre con il male al ginocchio”, “correre con la testa che gira”. Ah, se Google potesse parlare, quante ce ne racconterebbe sui runner che cercano scuse per a) non uscire ad allenarsi b) uscire ad allenarsi nonostante febbre a quaranta o infortuni che in una condizione normale non avrebbero problemi a sfruttare per farsi portare colazione, pranzo e cena a letto.

Mi sono chiesta spesso quale sia il confine tra “scusa” nel senso di “lagna” per non uscire a correre e invece “seria ragione per evitare di peggiorare le proprie condizioni”.

Chi conclude una maratona dopo essersi infortunato in gara è un eroe o un cretin..., ehm, una persona poco saggia? Sfidare l’influenza per andare in palestra è segno di grande motivazione e resilienza oppure una stupidaggine che può farci stare peggio? Fino a che punto il “dolore” è una scusa e quando invece diventa impedimento serio, e finisce per mettere a rischio la nostra salute?

Nei gruppi Facebook di runner se ne leggono di tutti i colori su questo tema. Perché è un sport che crea dipendenza - il runner’s high, lo “sballo del corridore” è un fatto scientificamente provato - ed è difficile trovare qualcuno in grado di smettere all’improvviso. Anche quando si infortuna seriamente. Tanto che la “frattura da stress” è una delle più comuni lesioni alle ossa dei podisti che hanno continuato a fare attività fisica nonostante gli “alert” del corpo che, prima di rompersi, si infiamma e ti chiede di rallentare. E da una frattura da stress si recupera solo stando fermi per dei mesi, MOLTI mesi. Lo scorso luglio avevo un dolore alla tibia che mi ha fatto avere incubi sul fatto che potesse essere proprio un allarme pre-frattura. Per un mese non ci ho corso su. Sapevo che stavo perdendo forma, ma lo spettro della totale immobilità mi ha trattenuta dal fare sciocchezze. Quello, e la saggezza del mio allenatore, che si arrabbia non poco quando scopre che qualcuno di noi ha corso sopra dei sospetti infortuni o anche solo con la febbre, mettendo a rischio l’intera stagione.

E allora perché gli ultra maratoneti, quelli cioè che si spingono oltre i 42km per fare i 50, 60 100km di corsa sono considerati con ammirazione? Di dolore ne provano non poco durante le competizioni.

Così gli atleti paralimpici, se ci pensate. Non avevo mai riflettuto sul fatto che correre con le “lame da corsa”, come si chiamano le protesi per chi corre con arti artificiali, potesse essere doloroso. Poi un giorno ho guardato tutti i video di Giusy Versace che ho trovato in rete. Avevo un’ottima scusa per perdere tempo così: dovevo lavorare a un progetto di raccolta fondi per un’associazione che si occupa di sport e disabilità e volevo capire cosa si prova a correre con gli arti amputati. Mi ha colpito la sua intervista alle Invasioni Barbariche, di qualche anno fa, dove racconta la sua evoluzione dopo l’incidente, la difficoltà con le prime protesi, la sofferenza dei muscoli che devono imparare nuovi movimenti. Ad un certo punto Daria Bignardi le chiede: “E ora invece corri, fai le Olimpiadi, non fa più male?”

“Certo che fa male”, risponde Giusy. “Solo che ti abitui”.

Sono rimasta a bocca aperta. Perché, come sempre, quello che vedi non è mai solo quello che c’è. Ti immagini la fatica, ma non il dolore.

Forse il confine tra stupidità ed eroismo è questo: quando la sofferenza è parte della tua condizione, quando sai che qualcosa non può cambiare perché è diventato parte di te (penso ai tanti runner con la t-shirt “corro perché ho il cancro” incontrati a New York), e correre migliora la tua vita, non la peggiora, allora è il caso di uscire e allenarsi.

Se invece “l’unica cosa che ti fa stare bene è la corsa”, anche quando distrugge il tuo corpo, è il momento di fermarsi. E farsi qualche domanda sulla propria condizione mentale, oltre che fisica.

Quel giorno, dopo aver visto l’intervista a Giusy Versace, mi sono ricordata di tutte le volte che ho googlato “allenarsi con un leggero mal di testa”. E ho messo le scarpe da corsa.


SHOOT THE RUNNER

di Donata Columbro

Giornalista e consulente digitale con una missione: aiutare le storie a incontrare i lettori. Scrive di Africa e attivismo digitale su  InternazionaleWired ItaliaVita.it. Corre per godersi Roma quando non c'è nessuno per strada e lo racconta spesso su Snapchat (@dontyna).

Regali last minute per la tua amica runner

Cosa si aspetta di trovare sotto l’albero di Natale l’amica super sportiva? La lista sarebbe infinita. Ma per il vostro bene, mi limiterò a darvi 7 idee che potete sfruttare - anche all’ultimo momento - per fare un’ottima figura.

1. Un libro a tema

Qui me la gioco facile, un anno fa avevo scritto un post che rimane ancora valido con una serie di titoli di libri molto belli e soprattutto “ricarica energie” e motivazioni per tutti i tipi di sportivi. Da Open di Agassi a I Giorni Selvaggi di Finnegan, lo trovate qui.

2. Accessori per correre in inverno

Dai guanti (io mi trovo benissimo con questi di Decathlon) alla fascia per proteggere le orecchie, dalle calze a compressione alla maglia termica, ormai dovreste sapere che non ci sono scuse per non uscire a correre: ci sono solo cattivi modi di vestirsi, e a questo si può rimediare.

3. L’iscrizione a una gara

Magari avete sentito la vostra amica sognare di partecipare a un trail, a una corsa in una città europea, a una gara particolare a cui non ha ancora osato iscriversi: regalare l’iscrizione può essere un’ottima spinta per lei per iniziare finalmente la preparazione e per voi per accompagnarla in mete esotiche come supporter.

4. La prima visita da un nutrizionista

Non ci sono regole generali per come scegliere di nutrirsi per chi pratica sport, ma solo regole individuali: fondamentale quindi rivolgersi un nutrizionista per un piano personalizzato. Perché non regalare la prima visita alla vostra amica sportiva? Su Roma consiglio due nomi: Iolanda Frangella e Sara Olivieri.

5. La fascia per non perdere chiavi di casa e cellulare

Non fate come me: quando andate a correre non uscite senza carta d’identità, qualche euro e, ovviamente, le chiavi di casa. E nei percorsi più lunghi non dimenticate i gel per recuperare energie. No, non serve uno zainetto. Basta una fascia aderente come quella della Flipbelt, per me la migliore. Se la regalate, la vostra amica runner ve ne sarà eternamente grata.

6. L’abbonamento a una rivista sportiva

Runner's World Italia o Correre sono le più famose. In inglese, dedicato esclusivamente alla corsa al femminile, c’è Women’s Running, un ottimo mensile dove scoprire altre atlete a cui ispirarsi.

7. Il regalone tecnologico

Se potete spendere molti soldi, allora informatevi sui possedimenti tecnologici della vostra amica sportiva e regalatele l’upgrade che ha sempre sognato. Se corre con lo smartphone è il momento di dotarla di un orologio gps, se ha l’orologio compratele la fascia cardio, se ha già entrambi è il momento di aggiungere il sensore di potenza, come quello della Stryd.

Nb: né io né Riccio riceviamo alcun compenso per i prodotti segnalati, e non ci sono link di affiliazione. Sono solo consigli su oggetti testati personalmente dalla sottoscritta.


SHOOT THE RUNNER

di Donata Columbro

Giornalista e consulente digitale con una missione: aiutare le storie a incontrare i lettori. Scrive di Africa e attivismo digitale su  InternazionaleWired ItaliaVita.it. Corre per godersi Roma quando non c'è nessuno per strada e lo racconta spesso su Snapchat (@dontyna).

Il motivo per cui correre

Sono stata a New York per correre la maratona. Quella per cui tutti ti chiedono, dopo: “ma proprio quella maratona che penso io? quella di 42 chilometri?” Sì, ma la maratona è sempre di 42 chilometri. “Wow, che brava”. Sì, ragazzi, l’avevo già corsa a Roma e dov’era tutto questo entusiasmo? “Eh, ma New York è più grande, è più lunga”. No, sono sempre 42 chilometri (195 metri), ve lo assicuro.

Lunghezza a parte, è vero che quella gara è speciale. Non ci ho creduto finché non l’ho corsa. L’organizzazione è perfetta: gestire più di 50mila runner in una città di 8 milioni di abitanti, a pochi giorni da un attentato terroristico, richiede uno sforzo economico e una competenza incredibili. E i volontari presenti dal porto di Manhattan, dove i runner prendono il traghetto per Staten Island, dove si trova la partenza, fino all’arrivo, e anche oltre, quando ci vestono con il classico caldo poncho blu, alla fine della gara, sono incredibili.

Vi porto con me alla partenza, così potete capire di cosa sto parlando.

Il villaggio degli atleti, a Staten Island, è un immenso parco organizzato per settori: ci sono le zone relax con i cani della pet therapy, un centro per pregare, i banchetti dei “bagel”, quelli del caffè e della cioccolata, delle barrette energetiche. Non mancano i bagni, il reparto medico. Siamo svegli almeno dalle 5 di mattina e prima di correre dobbiamo aspettare ore, ci sono quattro turni che partono dalle 9.20 alle 11.40. Io sono nella terza griglia, quelle delle 10.40.

Mangio un bagel. Faccio la coda per il bagno. Vado a trovare i cagnolini della pet therapy. Faccio di nuovo la coda per il bagno. E poi ci chiamano: “Blu corral, turno delle 10:40, incamminatevi!”. Lungo la linea di partenza, che dovete immaginare lunghissima, divisa in tre parti (blu, verde e viola), ci sono i cassonetti delle organizzazioni non profit che raccolgono i vestiti caldi che ci siamo portati nell’attesa e che abbandoniamo prima di partire.

Ed eccolo, il ponte di Verrazzano davanti ai nostri occhi. Siamo pronti ad attraversare la città nei suoi cinque distretti: la vedremo cambiare chilometro dopo chilometro, anzi miglio dopo miglio, come contano qui, e ci godremo le facce dei newyorkesi venuti a tifare, di ogni colore di ogni età di ogni condizione.

Siamo tantissimi, la marea di gente in cui sono immersa da quando ho preso la metropolitana alle 6 non finisce di stupirmi.

Poi eccolo: boom, il cannone della partenza! Siamo noi, andiamo.

Non riesco a smettere di sorridere, sto correndo, la maratona, a New York!

Nemmeno 500 metri ed ecco che rischio di piangere subito: mi supera una ragazza, sulla maglietta ha scritto dietro “la persona che ti sta davanti sta combattendo un cancro”.

Brividi. Mi guardo attorno, quasi ogni runner ha scritto qualcosa sulla propria divisa: “corro per....” mia figlia, mio marito, i bambini ammalati di tumore, per un’organizzazione che lotta contro la povertà.

Il motivo per cui correre cucito addosso.

La ragazza che mi ha superato all’inizio non la trovo più. E intanto siamo entrati in Brooklyn, dove centinaia di migliaia di persone ci accolgono gridando i nostri nomi, allungando la mano per il cinque, offrendoci cibo, caramelle, fazzoletti. La città è lì per noi.

Continuo a leggere le magliette. Mi chiedo se io ce l’ho un motivo così forte che mi spinge a correre per quarantadue chilometri. Perché sono lì? Perché sono viva, mi dico. Perché è un bel modo per far sentire al tuo corpo che sei viva.

E poi ne trovo un altro di motivo per andare a prendermi la medaglia, senza fermarmi nemmeno sui ponti più duri, come il Queensboro Bridge, che ci porta dal Queens a Manhattan.

Sento il tifo delle persone che sono lì, per le strade di New York, di Marianna e Bianca, che hanno viaggiato con me e salgono e scendono dalle metropolitane per sbucare agli appuntamenti che ci siamo date lungo il percorso. Quando le vedo si accelerano i battiti e anche il ritmo di corsa.

Sento anche il tifo a casa, di tutti quelli che mi hanno scritto messaggi, che mi stanno seguendo sulla app della gara, li vedo, quasi, ai bordi della strada. Sono le allucinazioni della fatica, ma non importa, perché è bello così.


SHOOT THE RUNNER

di Donata Columbro

Giornalista e consulente digitale con una missione: aiutare le storie a incontrare i lettori. Scrive di Africa e attivismo digitale su  InternazionaleWired ItaliaVita.it. Corre per godersi Roma quando non c'è nessuno per strada e lo racconta spesso su Snapchat (@dontyna).

 

Correre al buio, da sola

Ma non hai paura a correre al buio, di mattina presto?

Me lo chiedono diverse persone su Instagram, dopo aver visto un video in cui parto da casa un po’ prima delle 7 per andare ad allenarmi in strada, prima della giornata lavorativa. È vero: non era ancora cambiata l’ora e per uscire prima dell’alba non c’era nemmeno bisogno di puntare la sveglia troppo presto. Il problema è che dalle 6.30 alle 7.30 le luci artificiali si spengono e c’è sempre un momento in cui sulla città regna il buio assoluto. 

E cosa fai, te lo perdi? È il primo pensiero che mi viene in mente. Prima di avere paura dello sconosciuto che cammina nel mio stesso vicolo deserto, senza traffico. Prima di pensare che se si ferma una macchina di malintenzionati e mi carica, non faccio nemmeno ad invertire e accelerare il passo. Sì, invertire, perché sono femmina e una delle prime istruzioni che ho mandato a memoria per la mia sicurezza è che “se si affianca un macchina tu vai nella direzione contraria, fare inversione o andare in retromarcia la rallenterà”. Ci penso ogni volta che ne incontro una correndo in un luogo poco frequentato.

A volte ho corso in un parco deserto e ho tenuto in mano una pietra per tutto il tempo. Ho corso più lentamente di quanto avrei dovuto, per tenermi un po’ di fiato in caso pericolo.

Se sei un uomo penserai che sia paranoia. Se sei donna, ti riconoscerai in questo modus operandi del nostro cervello, un motore automatico che parte per salvarci la vita quando non ci sentiamo sicure. Un modo di ragionare che è al tempo stesso fondamentale ma ingiusto: odio avere paura, ho scritto alla mia amica Simona dopo il suo messaggio su Instagram. “Odio sentirmi limitata”, mi ha risposto.

E allora perché ti metti in pericolo? E no, non sono io a mettermi in pericolo. Non cominciare a darmi la colpa. Io vado a correre quando ho tempo. Ma anche quando posso godermi le condizioni che rendono questo sport una medicina per la mente: la presa della città - della più bella del mondo, secondo me - quando anche i turisti dormono e il traffico non mi costringe a fermarmi a ogni incrocio.

Non rinuncio a godermi il paesaggio, però prendo le mie precauzioni.

Al mattino presto o la sera tardi non corro da sola sul lungotevere, vicino al fiume, dove so che difficilmente potrei tirarmi fuori dai guai, se dovessero capitare. Al buio viaggio sempre con una luce frontale: basta davvero poco per farsi notare da auto e motorini. Se so di stare fuori casa per molto tempo (o se so di allontanarmi molto) porto con me il cellulare, anche se adoro sentirmi irraggiungibile quando corro.

E poi credo questo: se siamo in tante, a correre “al buio”, non siamo sole. Non metterti in pericolo, ma non rinunciare alla tua libertà.


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di Donata Columbro

Giornalista e consulente digitale con una missione: aiutare le storie a incontrare i lettori. Scrive di Africa e attivismo digitale su  InternazionaleWired ItaliaVita.it. Corre per godersi Roma quando non c'è nessuno per strada e lo racconta spesso su Snapchat (@dontyna).

La corsa è una fregatura

La corsa è una fregatura. Lo penso mentre metto la crema sui lividi che mi sono rimasti sulle gambe dopo i massaggi dell’osteopata. Mentre guardo le ferite della fascia cardio sul torace e sulla schiena per lo sfregamento contro la pelle dopo il lungo da 28 chilometri. Mentre impacchetto di argilla la tibia dolorante prima di andare a dormire.

“Ma come, non sei qui per motivarmi a fare sport?”, potrebbe chiedersi la lettrice in cerca di ispirazione per alzarsi dal divano e fare un po’ di movimento.

È che io e la corsa al momento siamo in una relazione complicata: la passione iniziale si è trasformata in dipendenza, ossessione, poi quasi noia, e infine il senso ritrovato, la motivazione forte della maratona. E ora? Corro da quattro anni e mi sembra che io e lei oggi parliamo un linguaggio diverso. Quando ci frequentiamo litighiamo. Io principalmente tengo il broncio. O comunque scappo quando le cose diventano difficili.

La colpa credo sia sempre sua: la maratona.

Un investimento emotivo prima che fisico. Gli allenamenti lunghi, che ti danno tutto il tempo per pensare e meditare, meditare e pensare: "ma chi me lo ha fatto fare"?

Uscire con il caldo e con il freddo. Anche in vacanza. Anche quando hai dormito poco.

La fisioterapia, che pure costa i suoi soldi.

Il potenziamento, perché gli esercizi - addominali, piegamenti, squat - per mantenere una buona postura non te li toglie nessuno, almeno una volta a settimana.

Quando qualcuno mi scrive per raccontarmi che ha appena cominciato a correre penso "beato lui". Come quando ti fidanzi. Che batticuore a ogni appuntamento!

Io invece mi ritrovo a pensare alle “altre”: la bici, la canoa persino. O, affronto supremo, la camminata veloce!

“E quindi vi lasciate?”

Be’ non sono una che molla alla prima crisi. È che comunque mi tiene legata. Perché la corsa conosce certi lati di me come nessun altro. Me li fa vedere, me li mette davanti a ogni sudato allenamento. Credo sia un modo carino per dirmi che posso essere meglio di così, e mi indica la strada per provarci.

La corsa è una fregatura. Eppure sono ancora qui.


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di Donata Columbro

Giornalista e consulente digitale con una missione: aiutare le storie a incontrare i lettori. Scrive di Africa e attivismo digitale su  InternazionaleWired ItaliaVita.it. Corre per godersi Roma quando non c'è nessuno per strada e lo racconta spesso su Snapchat (@dontyna).

Fare sport per trovare il coraggio

Quando ho corso la mia prima mezza maratona (21 chilometri) ho creato una playlist dal titolo “Il coraggio di presentarsi alla linea di partenza”.

Nei mesi precedenti alla gara stavo sperimentando un misto di adrenalina e paura che fino al giorno prima, a chi mi chiedeva se stessi correndo così tanto per un motivo specifico, spiegavo che “in teoria” mi ero iscritta a una gara, in pratica chissà, non ero così sicura di andarci. Avevo una paura matta di non riuscire a finirla. Di fermarmi prima, di esplodere dopo 10 chilometri anche se una volta ne avevo già corsi 15 ed era andata bene. 
L’anno in cui ho scoperto la corsa ogni piccolo traguardo mi ha fatto scoprire di poter superare tutti i limiti in cui mi ero auto definita: “non hai fiato”, “non sei una sportiva”,  “le cose importanti a cui dedicare il tempo per una persona come te sono altre”. Chilometro dopo chilometro invece ho scoperto molto altro: dopo che inizi a calcolare la corsa in minuti (“non mi sono fermata dopo 30!!), passi poi ai chilometri e infine a riconoscere che sulla stessa distanza, se ti alleni con frequenza, puoi migliorare la velocità.

La paura per i miei primi 21 chilometri si è trasformata in gioia pura una volta arrivata al traguardo, una gioia che ho riprovato quest’anno quando ho percorso in allenamento i miei primi 36 chilometri in preparazione alla maratona di Roma. Durante i 36 ho avuto di nuovo paura, paurissima di non farcela. Volevo fermarmi, chiamare un taxi che mi portasse a casa, non capivo perché mi ero messa in testa di voler fare una maratona, 42 km. “È assurdo, continuavo a ripetermi, ti sei cacciata in questo pasticcio da sola, te ne rendi conto?”. Il cervello si è divertito per parecchi chilometri a tentare di scoraggiarmi.  
Poi invece li ho finiti e una volta a casa ho pianto di gioia. Il coach mi ha scritto “per me sei una maratoneta già oggi” e lì ho capito che la gara sarebbe stata una festa.

Vi racconto questo perché la paura è inevitabile quando affronti una nuova esperienza. Anzi, è persino sana. Se ho paura valuterò attentamente ogni variabile e sarò pronta ad affrontare tutti gli imprevisti (quelli che posso controllare, è chiaro). Provare paura è questione di sopravvivenza, di mantenere una certa distanza davanti al pericolo. L’unico problema è che può impedirmi di fare qualcosa solo perché mi fermo prima di affrontarla, e di accettarla come parte dell’esperienza.

Elizabeth Gilbert, l’autrice di Mangia Prega Ama, in un libro dedicato alla creatività scrive che la paura è fondamentale per il suo lavoro. Che ogni volta che sta per intraprendere un nuovo progetto la porta con sé, come fosse il passeggero di un viaggio in bla bla car. “L’importante è non mandarla alla guida”. 

Allenarsi per uno sport che mi sfida a superare i miei limiti è allenarsi a trovare il coraggio, sempre. Non ci si può pentire di prendere questa strada.


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di Donata Columbro

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Come trovare il tempo di praticare sport tutti i giorni, o quasi

Come praticare sport tutti giorni? Non basta due volte a settimana, o al massimo tre, quando devi smaltire le lasagne della domenica? Certo, può darsi. Ma qui non voglio definire la “quantità” minima di esercizio fisico che può farti stare bene. Quella la devi decidere tu - magari insieme a un personal trainer o a un allenatore a cui non voglio assolutamente sostituirmi.

È che mi sono resa conto, anche in questo mese in cui sono in pausa dalla corsa per una fastidiosa tendinite, che ormai pratico sport quasi tutti i giorni. Disclaimer, perché non vorrei che pensassi che io abbia una quantità di tempo libero esagerata: ho un lavoro che mi impegna full time, una vita sociale a cui tengo, viaggio una volta a settimana su e giù per l’Italia e questo rende anche difficile organizzare la mia routine sportiva. Fine disclaimer.

Innanzitutto, di che sport stiamo parlando? Quando mi alleno corro 3-4 volte a settimana a cui si aggiungono 1-2 sedute in piscina più 1 di potenziamento. Ora sto nuotando, ma soprattutto mi diletto con addominali, plank ed esercizi per migliorare la core stability, che aiutano qualsiasi runner a migliorare la postura e quindi evitare il prossimo infortunio. In più, lo stretching, che da quando ho scoperto che contribuisce alla formazione della massa muscolare mi sta molto più simpatico.

Sono esercizi che mi prendono dai 3 ai 40 minuti, a seconda di come prevedo si svolgerà la mia giornata. La mia fonte di ispirazione sono i video della Bowflex, marca di attrezzi da palestra. La mia playlist addominali è questa, se vi serve uno spunto.

“Ma devo farli proprio tutti i giorni”? Be’, dipende.

Srotolando il tappetino per il mio allenamento quotidiano, mi rendo conto che lasciar passare una giornata senza aver dato attenzione al mio corpo facendogli fare un po’ di fatica - dopo aver stressato il cervello per tutto il giorno - può peggiorare anche la mia qualità del sonno. Perché la fatica mentale accumulata si trasforma in fatica fisica e diventa molto più semplice da gestire, anzi, aiuta pure a dormire meglio. Al mattino invece aiuta moltissimo a trovare le energie che credi di non avere finché non bevi un caffè. In realtà, l’energia puoi autoprodurla con l’attività fisica.

Come dice la voce dell’istruttore dei video della Bowflex, Tom, “ormai non è più questione di allenarsi ore e ore in palestra, bastano 3 minuti qui e 5 minuti là”. E continua: “È tutto quello di cui hai bisogno, 3 minuti, qualità invece che quantità”. Certo, Tom è convincente. Chi non ha 3 o 10 minuti durante tutta la giornata?

C’è un esperimento di cui parla il giornalista Olivier Burkeman su Internazionale, quello di concatenare le abitudini, che può aiutarci: “L’idea è quella di scegliere qualcosa che facciamo senza eccessiva difficoltà, come lavarsi i denti, e collegarlo a una buona abitudine che vogliamo acquisire: per esempio, mettere la protezione solare. Impilare abitudini è la sua versione avanzata. Fate una lista di piccole abitudini che non richiedono più di cinque minuti ciascuna e trenta minuti in totale”.

Puoi replicare l’esperimento anche tu. Appena ti alzi, mentre la caffettiera è sul fuoco, perché non stendere il tappetino vicino al tavolo della cucina e fare tre minuti di plank? Cominciare con tre minuti al giorno, poi aumentare. O tenere tre minuti nelle giornate più piene e aumentare fino a venti in quelle più libere.

Prova per una settimana, è già abbastanza per creare una dipendenza. Di quelle buone però :)


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Toglietemi tutto, ma non le mie app per correre

Siamo runner non siamo nerd!

O forse sì. È raro trovare qualcuno che cominci a correre senza l'aiuto di un'app per contare i chilometri e il tempo. Se penso alle mie prime timide corse fuori stagione (cioè non quelle dettate dall'ansia prova costume, a inizio estate), devo ringraziare principalmente Spotify e Runkeeper se ho continuato a uscire di casa anche con la pioggia, il freddo e qualche volta anche la neve (abitavo a Torino).

Quindi, parliamo di app.

La funzione principale presente in tutte le app di corsa e di fitness è quella di registrare dati sul tuo allenamento disponibili durante e dopo un’attività: la distanza, il passo, la velocità, il dislivello percorso e le calorie bruciate, per esempio. Se indossi anche una fascia cardio - la puoi abbinare direttamente alle app o a un orologio gps - avrai a disposizione anche informazioni sulla tua frequenza cardiaca. Molte forniscono anche la mappa del percorso e  la cronologia dettagliata delle tue attività nel tempo per monitorare i tuoi progressi. Anche un piccolo miglioramento può essere una motivazione per continuare ad allenarti, quindi scegli la tua preferita e comincia a misurarti.

1. Runkeeper e Runtastic

La prima l'ho già nominata, è stato il mio primo amore e le sono stata fedele fino a due anni fa.  Su entrambe durante la corsa puoi attivare un istruttore vocale che ti indica il cambio di ritmo e ti informa su chilometri percorsi, il passo, ecc. Con un account a pagamento puoi impostare un obiettivo (es. "voglio correre 10km in meno di un'ora in 4 mesi) e seguire un piano di allenamento. Le colleghi anche con MyFitnessPal e unisci così il calcolo di calorie bruciate con l'attività fisica al calcolo delle calorie consumate (ma prima di seguire una dieta che si basa esclusivamente sulla riduzione delle calorie ti consiglio di consultare una nutrizionista).

Runtastic ha poi una funzione in più, il LIVE Tracking, che ti permette di condividere la tua posizione sui social network in tempo reale per ricevere incoraggiamenti mentre ti alleni.

 Sia su Runkeeper che su Runtastic puoi ascoltare e gestire la musica direttamente dall'app durante l'allenamento. Infine, di entrambe mi piace la funzione "social network", che ti permette di seguire e farti seguire da altri amici sportivi: alla fine la scelta tra le due può dipendere esclusivamente dalla presenza dei tuoi contatti su una o sull’altra app.

2. Nike Plus e MyAsics

Sono le app delle due note marche sportive. La prima ha un’interfaccia grafica meravigliosa e al momento è la migliore per condividere le foto dei tuoi allenamenti sui social. Ma le sue caratteristiche positive finiscono qui, per quello che mi riguarda. La seconda è dedicata ai piani di allenamento personalizzati per preparare gare: mano a mano che la usi aggiorna la previsione per i risultati di gara e modifica il piano in base ai tuoi miglioramenti. Certo, non sostituisce un allenatore, ma può essere un punto di partenza se non vuoi fare tutto da sola.

3. Strava, il mio nuovo amore

È il mio terzo social network preferito dopo Instagram e Twitter, la uso per connettermi con altri atleti e lasciarmi ispirare dalle loro performance. È un'app completa anche dal punto di vista delle informazioni sulla corsa, permette di impostare i percorsi, trovarne di nuovi quando ti trovi in una città diversa dalla tua e con la funzione “segmenti “ puoi vedere come te la sei cavata in sezioni specifiche della tua attività.  Se corri con una squadra o con degli amici è possibile anche creare dei "club" in cui pubblicare eventi e notizie. Strava è ottima per registrare anche altre attività all’aperto, ma pure quelle in piscina e in palestra - o sul tappetino di casa. Puoi anche registrare le scarpe che usi in allenamento e monitorarne il consumo (dopo massimo 600 chilometri sarebbe meglio cambiarle...).

4. Relive

Ultimamente sulla mia bacheca Facebook spuntano ogni ora video di corse creati con Relive: la puoi collegare a una delle app citate sopra e trasformare il tuo percorso di allenamento o di gara in un video 3D. Bella, ma va usata con parsimonia :)

Uh, importante! Ricorda che tutto quello che condividi su queste app è di dominio pubblico se non cambi le impostazioni del tuo profilo: prima di far vedere a chiunque da dove parti e dove torni per uscire a correre, verifica di aver scelto bene con chi condividere queste informazioni. Un vantaggio di Strava è quello di poter impostare una “zona privacy” del raggio di un chilometro per non mostrare a nessuno il punto di partenza delle tue attività. Ma ve l’ho già detto che è la mia app preferita?


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di Donata Columbro

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Storie di runner fuori dall'ordinario: Kayla Montgomery

Sabato mattina a Monza ho visto il maratoneta più veloce del mondo correre la distanza di 42 chilometri e 195 metri come stesse facendo un giro di pista da 400 metri. Si chiama Eliud Kipchoge, viene dal Kenya, ha 32 anni e di mestiere fa l’atleta. L’atleta olimpico per la precisione, perché lo scorso agosto era a Rio de Janeiro per correre la maratona e ha vinto la medaglia d’oro con un tempo di 2:08:44. A Monza c’è stata una competizione organizzata dalla Nike per provare a scendere sotto il limite delle due ore e Kipchoge non ce l’ha fatta solo per 26 secondi. Ho ancora negli occhi la sua falcata perfetta e l’espressione serena, come di qualcuno che sta semplicemente facendo il suo lavoro. Questa mattina, quando sono andata a fare il mio allenamento allo stadio di Caracalla, ho pensato a lui e al gruppo di lepri - gli atleti che conducono una parte della gara dando il ritmo giusto ai campioni - che lo precedeva. Delle macchine perfette e una fonte di ispirazione per chi corre e prova a migliorarsi nella sua tecnica.

Le storie di altri runner, degli altri atleti in generale, sono delle motivazioni costanti per i miei allenamenti. Sono la spintarella a buttarmi giù dal letto la mattina presto, a non crollare davanti a Netflix sul divano la sera, e a non farmi interrompere per sfinimento gli allenamenti più duri. Una delle mie preferite ve l’ho già raccontata qui su Shoot the runner: la storia di Roberta Gibb, prima donna a correre la maratona di Boston nel 1966, quando la competizione era esclusivamente aperta solo agli uomini.

C’è un’altra atleta di cui ogni tanto vado a riguardarmi i video che la riguardano su YouTube. Si chiama Kayla Montgomery ed è la protagonista di un bel documentario della ESPN dal titolo “Catching Kayla”. Capirete più avanti perché il “catching”.

Kayla ha 15 anni quando le viene diagnosticata la sclerosi multipla. Una malattia che neurodegenerativa che porta lesioni a carico del sistema nervoso centrale. Può progredire fino a impedire qualsiasi movimento a chi ne affetto.

Prima di sapere della sclerosi Kayla era la runner più lenta della scuola. La scoperta della malattia l’ha motivata a correre più veloce perché voleva dimostrare che la malattia non l’aveva cambiata. “Invece di fermarmi, mi ha motivata a battere record” ha detto in una delle numerose interviste concesse alla stampa americana. Sì perché oggi Kayla è una delle atlete più veloci non solo della sua scuola, ma dell’intero North Carolina, lo Stato in cui compete. Guardare Kayla correre è emozionante: finché è in movimento va tutto bene, ma quando si ferma i sintomi dell'intorpidimento ai muscoli ricompaiono e ci vogliono almeno 10 minuti perché possa “sentire” di nuovo le sue gambe, come si vede in questo video. Il suo allenatore è sempre alla linea di arrivo e la prende tra le braccia - catching Kayla appunto - per rassicurarla sul fatto che le sue gambe sono ancora lì e che va tutto bene.


“Ogni volta che corro penso che potrebbe essere l’ultimo giorno, domani potrei alzarmi e non essere in grado di muovermi”. Kayla ha un motivo in più per pensarlo e corre perché oggi “può farlo”. Be’, a me sembra la motivazione più forte di tutte.


SHOOT THE RUNNER

di Donata Columbro

Giornalista e consulente digitale con una missione: aiutare le storie a incontrare i lettori. Scrive di Africa e attivismo digitale su  InternazionaleWired ItaliaVita.it. Corre per godersi Roma quando non c'è nessuno per strada e lo racconta spesso su Snapchat (@dontyna).

Correre a Roma, con la primavera che avanza

Siamo a fine aprile, le giornate si allungano, la temperatura si alza e la primavera sembra la stagione migliore per cominciare a correre. Attenzione, ho detto “sembra”. Perché per godere delle condizioni favorevoli che vi ho appena descritto avete circa un mese. Poi comincia l’inferno: il caldo, le zanzare e le amiche che vi invitano a bere uno spritz dopo il lavoro invece di incoraggiarvi a continuare con i vostri buoni propositi sportivi.

Ma ci sono due modi per non soccombere a questi ostacoli: il primo è puntare la sveglia presto e dedicare alla corsa le prime del mattino. Il secondo è trovare la motivazione negli scenari meravigliosi che Roma offre a noi runner per allenarci. Se non abitate vicino a nessuno dei posti che sto per consigliarvi, c’è sempre il metodo “prendo la metro o l’autobus vestita da runner per raggiungerli e torno a casa correndo”. Oppure risalite in metro dopo la corsa e il posto a sedere è assicurato (ehm, sì, parlo per esperienza).

I parchi

Il mio preferito è quello Villa Pamphilj: grande abbastanza per gli allenamenti medi e lunghi (dai 12 km in su), ottimo per quando volete allenare le gambe su percorsi collinari e intanto scattarvi un selfie a testimonianza che viviamo nella città più bella del mondo per correre con il cupolone che si intravede da via Aurelia Antica.

Ok, anche a Villa Borghese dalla terrazza del Pincio potete ottenere lo stesso effetto: ma è molto più frequentata dai turisti rispetto a Villa Pamphilj e andarci prima delle 8 di mattina è l’unico modo per averla tutta per voi.

A Villa Ada non ci ho mai corso, e questa è una mia grave mancanza, anche perché il gruppo dei Leprotti non solo si curano del parco ma sono aperti ad accogliere atleti di qualunque livello, per allenamenti che si svolgono su base quotidiana con partenza al laghetto, entrata di via Ponte Salario.

Il parco dell’Appia antica, dalla Caffarella fino agli Acquedotti, sono un luogo pieno di fascino, perché siete ancora in città ma in un attimo vi ritrovate nella pura campagna, con tanto di mucche e pecore al pascolo. Ci sono andata poche volte da sola, di più in gruppo, ma ammetto che è perché non li frequento moltissimo e ho più paura di perdermi che di fare brutti incontri.

Se i grandi parchi vi intimoriscono, un bel circuito all’ombra dei pini marittimi, fresco anche d’estate (sempre prima delle 8 di mattina eh!) è quello davanti alle Terme di Caracalla - secondo Google si chiama Parco di Porta Capena: tutto il giro è circa un chilometro, c’è una bella fontanella per dissetarvi e sarete in compagnia di altre decine di runner, non ché di crossfitter che usano gli attrezzi del parco per allenarsi.

Il centro

La conquista del centro di Roma di corsa è un privilegio: anche qui, consiglio di avventurarvi attorno al Colosseo, ai Fori Imperiali e in via del Corso (da cui potete poi raggiungere Villa Borghese) solo in orari che vi permettano di evitare turisti e traffico. Meglio il mattino che la sera, ma se proprio non ce la fate ad alzarvi presto e volete prendervi la soddisfazione di attraversare anche piazza Navona correndo ci sono gli appuntamenti di Roma Running by Night, il prossimo è il 28 maggio.

Un’altra bellissima iniziativa è quella delle ragazze di ArcheoRunning: un modo per conoscere l’archeologia di Roma correndo nella storia. Le prossime date sono disponibili sulla loro pagina Facebook.

Ma il mio luogo del cuore per attraversare Roma correndo è il Lungotevere: dal gazometro al laghetto di Tor di Quinto e oltre, ci sono luoghi di questa città che non avrei mai scoperto se non avessi dovuto allenarmi per chilometri e chilometri sulla pista ciclabile che costeggia il Tevere nei weekend prima della maratona. Ma attenzione perché mancano i ristori: c’è una fontanella a Ponte Milvio, ma se pensate di spingervi oltre dovrete portare con voi dell’acqua.

Le piste d’atletica

Correre su pista vi darà una sensazione di onnipotenza - quando vi sentirete Usain Bolt nei vostri scatti migliori - mista a totale disillusione quando il più lento dei ragazzini delle squadre di atletica vi supererà sfrecciando senza fatica. Tutto questo è possibile allo Stadio dei Marmi Pietro Mennea, all’interno del foro Italico, nella pista di atletica dello stadio di Caracalla oppure allo stadio Paolo Rosi in via dei Campi sportivi.

Ora non ci sono più scuse per non uscire a correre, giusto?

 


SHOOT THE RUNNER

di Donata Columbro

Giornalista e consulente digitale con una missione: aiutare le storie a incontrare i lettori. Scrive di Africa e attivismo digitale su  InternazionaleWired ItaliaVita.it. Corre per godersi Roma quando non c'è nessuno per strada e lo racconta spesso su Snapchat (@dontyna).

Tutto quello che sai sulla corsa è falso

Tutto quello che hai sempre creduto di sapere sul mondo della corsa è falso. Se a Oxford hanno eletto “post-verità” come parola dell’anno, chi siamo noi runner per non credere che da questo neologismo resti escluso anche il nostro sport preferito?

1. Corri, così puoi mangiare tutto quello che vuoi

In questi giorni nel gruppo whatsapp dei miei colleghi atleti si è scatenato il dibattito sui motivi che ci hanno portato a correre per la prima volta. Il più ricorrente era “mangiare di più” e per qualcuno in modo specifico “mangiare cioccolato”. Certo, come motivazione iniziale può essere perfetta. Salvo scoprire, al primo appuntamento con il nutrizionista, che l’elenco dei cibi proibiti per chi si allena è infinito, ma soprattutto non ci è permesso aumentare a dismisura le quantità di dolci e carboidrati con la scusa del “reintegro”. L’amara verità è che per correre bene e veloci non bisogna essere in sovrappeso (questo si lega anche al punto due).

2. La corsa fa bene

Se ve lo dice il fisioterapista è perché sta pensando alle sue prossime vacanze alle Maldive, sappiatelo. La corsa fa bene perché qualsiasi cosa che vi faccia alzare dal divano è salutare, ma non è uno sport “completo” e se non viene compensata con altre attività (nuoto, yoga, bici) il vostro corpo ne potrebbe risentire. Ve lo dice una che a qualche giorno dalla maratona ormai sta facendo più stretching e plank che chilometri. Che tortura!

3. Se sei allenato non senti più la fatica

No, ne abbiamo già parlato, c’è fatica e fatica. Più ti alleni, più alzi l’asticella dell’obiettivo che vuoi raggiungere, più l’allenamento diventa duro. Un runner che migliora il suo tempo dovrà adeguare tutti gli allenamenti a quel nuovo ritmo e se lo incrociate al parco durante una seduta di ripetute sicuramente non lo vedrete sorridere. Questo punto potrebbe spaventarvi, invece dovete essere contenti: la corsa è uno sport democratico, anche un atleta medaglia d’oro alle Olimpiadi è stanco morto quando arriva al traguardo. Perché ci ha messo tutto se stesso.

4. I runner sono felici di alzarsi presto la mattina per andare a correre

Succede una volta su 52, tante quante sono le settimane dell’anno. La cosa più probabile è che quello è l’unico momento disponibile della giornata per correre e siano molto allenati a portare le gambe fuori casa prima che il cervello se ne renda conto. A me capita di essere molto felice DOPO essere andata a correre la mattina, soprattutto quando ho la colazione davanti.

5. Correndo produci così tante endorfine che sembri sempre in botta

Magari! Credo che questo sia vero a) per alcune persone e b) per alcuni periodi. Non spaventatevi se non succede, di solito può capitarvi a qualche settimana dopo i primi allenamenti, quando ci sono dei miglioramenti evidenti, oppure quando partecipate a gare e sfidate voi stessi, ma altre volte potrebbe non accadere nulla. Dipende molto anche dal momento di vita in cui vi trovate. Per godersi la corsa è utile saper godersi la vita in generale :)

6. La corsa è uno sport solitario

Sì e no. Sì, se vuoi allenarti da solo e quando partecipi alle gare corri meglio se ti isoli come un monaco zen sulle montagne tibetane. No, se impari che lo sport vissuto insieme agli altri può darti quella motivazione in più quando proprio non riesci a uscire di casa. Sono molto grata alla “Crew romana” che ho incrociato prima su Facebook e poi nei vari parchi di Roma per quando mi ha spinto molte volte a uscire alle 7 del mattino le domeniche di inverno per incontrarli a Caracalla o al parco degli Acquedotti.

7. La corsa è uno sport economico

Ho messo questo punto per ultimo così non rischio che lo legga mio marito. “Stai tranquillo tesoro, mi bastano un paio di scarpe buone, un cambio tecnico ed è fatta, altro che palestra”. Così ho esordito tre anni fa quando ho cominciato a correre. Poi sono arrivate le prime garette, e quindi il costo dell’iscrizione. Anzi prima quello del certificato medico agonistico. Poi il secondo cambio tecnico, e pure il terzo. Ma vuoi non comprarti le calze a compressione? E i manicotti? E quando cominci ad allenarti per i lunghi serve assolutamente il migliore gel in commercio. Per non parlare del fatto che per correre bene non basta “uscire e correre”, appunto ma alternare un’altra attività, quindi abbonamento in piscina, palestra, ecc. E il fisioterapista, i massaggi, i viaggi per le gare fuori città.

Ma chi siamo noi per non volere “il meglio” dallo sport che pratichiamo? :)

Bonus track: con il tifo il gara i runner corrono meglio

Questo è assolutamente vero. Domenica corro la mia prima maratona qui a Roma. 42 chilometri 195 metri che mi sembreranno infiniti, se nessuno viene a incitarmi e convincermi che sì, ce la posso fare, urlando “daje” dalle transenne lungo il percorso. Che fate, venite anche voi? 


SHOOT THE RUNNER

di Donata Columbro

Giornalista e consulente digitale con una missione: aiutare le storie a incontrare i lettori. Scrive di Africa e attivismo digitale su  InternazionaleWired ItaliaVita.it. Corre per godersi Roma quando non c'è nessuno per strada e lo racconta spesso su Snapchat (@dontyna).

La corsa è femmina. Run like a girl.

Quando il 19 aprile del 1966 Roberta Gibb è saltata fuori da un cespuglio per unirsi a centinaia di uomini che stavano correndo la Maratona di Boston non pensava di fare qualcosa di rivoluzionario. Voleva solo correre e mettersi alla prova su una distanza per la quale si era allenata per mesi. Solo che quando aveva mandato la domanda di iscrizione per partecipare come atleta regolare, la Boston Athletic Association l’aveva respinta. Perché Roberta era una donna e alle donne era vietato correre la maratona. In pantaloncini, t-shirt e felpa col cappuccio sperava così di mimetizzarsi tra gli altri runner e correre il suo sogno lungo 42 chilometri senza destare troppa attenzione. Ma ad aprile anche a Boston è primavera inoltrata e il caldo ad un certo punto costringe Roberta a togliersi la felpa.

Anche noi, oggi, che viviamo in un mondo in cui la maggior parte dello sport che passa in televisione non riguarda discipline praticate dalle donne - non facciamo fatica a immaginare lo stupore degli altri runner e del pubblico di fronte a questa coraggiosa clandestina della corsa. Ci è voluto un atto di disobbedienza per portare alla “normalità” la presenza delle donne in gare come la maratona, ma ancora oggi la maggior parte degli iscritti alle competizioni di corsa sono uomini. Questo mi fa molto male. Dove siete ragazze? Io sono convinta che la corsa sia “femmina”. Perché è uno sport dove puoi allenarti per essere “più forte” degli uomini e dimostrare che non c’è niente che può fermarti. È femmina perché allena la tua autostima: correre di seguito, quattro, otto, 10 o 30 chilometri ti fa sentire onnipotente per giorni e giorni. Bella e onnipotente, bella perché fiera di quello che sei riuscita a fare, perché il tuo corpo migliora e cambia e quei difetti insormontabili, che ti impedivano di sentirti a tuo agio in costume, scompaiono di fronte alla consapevolezza dell’impresa che sei riuscita a portare a termine.

Eppure la corsa è una di quelle situazioni - forse lo sono tutti gli sport? -  dove puoi trovare un’altissima concentrazione di mensplaning, quella pratica per cui l’uomo si sente in dovere e in diritto di spiegare alla donna cose che lui, in teoria, sa molto meglio di lei: come vestirti, cosa mangiare, quanto allenarti.

A me per scatenare un moto di ribellione interiore basta anche il titolo con cui Sports Illustrated ha definito l’impresa di Roberta Gibb a Boston: “una ragazza si è messa in gioco in un gioco da uomini”. Per non parlare del commento negazionista del presidente dell’organizzazione della gara: “Gibb non ha corso la maratona, una donna non può correrla, può aver fatto una corsa su strada ma non ha gareggiato”. Paura ragazzi eh? Roberta alla fine ha tagliato il traguardo in 3 ore, 21 minuti e 40 secondi. Un tempo che nemmeno allenandosi duramente per anni molti uomini riuscirebbero a eguagliare.


Tiriamo fuori le scarpe, ragazze, e riprendiamoci lo sport.

 

SHOOT THE RUNNER

di Donata Columbro

Giornalista e consulente digitale con una missione: aiutare le storie a incontrare i lettori. Scrive di Africa e attivismo digitale suInternazionaleWired ItaliaVita.it. Corre per godersi Roma quando non c'è nessuno per strada e lo racconta spesso su Snapchat (@dontyna).

L'alimentazione ideale per chi si allena... non esiste!

Cosa mangiare prima di andare a correre? E dopo? E durante? La pasta fa bene, no la pasta fa male, via i latticini, sì ai latticini perché c'è la proteina e no alla carne che fa venire il cancro, sì legumi no soia, viva l’avocado, abbasso i pomodori...
Ne sentirete e ne leggerete di ogni se cominciate a cercare informazioni nel campo nutrizione per lo sport. E ogni sportivo vi parlerà della sua dieta: c'è chi esce in totale digiuno, chi non rinuncia al caffè, chi può correre solo se il giorno prima si è preparato 200 grammi di carbonara. Da qualche settimana ho capito sulla mia pelle che l'unica risposta sensata alla domanda "quale dieta devo fare se mi alleno" è una sola: dipende.
E soprattutto non si trova nelle riviste né la leggerete in questo post.

Potete ascoltare i pareri di chi corre da anni, ma quello che potrà raccontarvi si basa esclusivamente sulla dieta che va bene per lui/lei: e non è detto che vada bene anche per voi. Accumulate pure informazioni, ma per pura curiosità. Poi, vi prego, andate da un professionista.

Perché vi dico questo? Perché ho sperimentato sulla mia pelle un regime alimentare auto costruito in base al “buon senso” e alle letture sparse su blog di alimentazione sana, mentre  una decina di giorni fa ho scoperto che per mesi mi sono quasi “avvelenata” con un ingrediente che mettevo ovunque.

L’antefatto

Quando ho cominciato la preparazione per la maratona che avrei dovuto fare a dicembre mi sono costruita una dieta cercando di mantenere sempre un equilibrio tra proteine e carboidrati, al massimo aggiungevo più pasta la sera o a pranzo in base all’attività fisica praticata. Pochi grassi e zuccheri, il resto più o meno abbondante, senza togliermi nulla. Sono molto curiosa e amo provare cose nuove, così ho trovato ricette che mi permettessero di variare soprattutto la “schiscetta” che mi portavo in ufficio. Ho scoperto per esempio di essere una carnivora che ama il tofu: quest’estate l’ho mangiato quasi due volte a settimana in ogni insalata. E poi giù di salsa di soia come condimento. Ah l’amata soia.

Il problema

La mia alimentazione fai da te non mi faceva né ingrassare né dimagrire, ma non era questo il mio obiettivo. Il mio obiettivo era reintegrare liquidi ed energie perse durante l’allenamento. Obiettivo fallito: mi è capitato di svegliarmi spesso di notte alla ricerca di cibo per crampi della fame dopo i lunghi della domenica.

La soluzione

Mi decido ad andare da una nutrizionista. Che, se è una professionista seria, vi chiede gli esami del sangue. Li faccio e qualche valore è fuori dalla norma. Comincio a seguire la sua dieta e intanto prenoto altri esami.

L’epilogo

Scopro che la SOIA, la mia migliore amica sulla tavola per molti mesi, per la sua capacità di interferire con la tiroide è esattamente l’ingrediente che devo evitare come la peste. Insieme ad altre gioie della vita come glutine e latticini, ma questa è un’altra storia su cui non mi dilungo.

La lezione che ho imparato e che non mi stancherò di ripetere a chiunque mi chieda cosa mangiare prima/dopo/durante l’allenamento è: vai almeno una volta nella vita da un professionista che può farti capire qual è la dieta più adatta a te. Ne va della tua salute.

 


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di Donata Columbro

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Rispettare i buoni propositi.

Hai annunciato i tuoi buoni propositi allo scoccare della mezzanotte, li hai scritti persino, pensando che questo possa aiutarti a rispettarli: e così sarà. Tu li rispetterai. Tu andrai a correre tre volte a settimana per tutto l’anno, a partire da oggi. Sì, anche se è inverno e la temperatura è scesa sotto zero.

Cosa devo fare per cominciare a correre? Ogni tanto qualcuno me lo chiede, forse per farmi smettere di parlare delle “mie” corse e cominciare a raccontare le sue. Bene, adoro quando succede e ricevo schermate di applicazioni con la traccia gps delle vostre uscite.

In caso aveste bisogno di una spinta, ho preparato una piccola check list per aiutarvi con la prima corsa del 2017.

1) L’abbigliamento giusto. Comprare delle scarpe adatte, ma questo lo sapete, spero, vi salva letteralmente dagli infortuni. Il secondo indumento fondamentale per la runner femmina è il top: quello sportivo vi cambia la vita. Credo che potrei correre scalza ma non senza top (si narra di runner infilate nel cesto dei panni sporchi per recuperarne uno usato in mancanza di capi puliti a cinque minuti dall’uscita programmata). Ovviamente ricordati di vestirti in modo adeguato alla stagione: se fa freddo copriti bene, con indumenti termici, guanti, fascia, scaldacollo e in caso, una giacca leggera antivento se stai fuori a lungo ed è una giornata ventosa. Di solito questi capi sono anche utilizzabili in caso di pioggia (non pensavi di uscire solo con il cielo sereno, vero?).

2) Trova un’amica o un amico che possa aiutarti a mantenere l’impegno preso: non è obbligato a seguirti nella corsa, ma sarà la persona a cui prometterai di andare a correre e a cui manderai le prove dell’avvenuta uscita. Un’alternativa sono i gruppi di Facebook dedicati alla corsa, specialmente quelli della tua città: puoi cominciare a uscire in compagnia e poi chiedere aiuto postando sul gruppo il tuo impegno. Io l’ho usato come metodo per uscire da una crisi che mi aveva fatto smettere di correre quando mi sono trasferita. Ogni tanto mi succede anche adesso. Puoi anche sfruttare i tuoi colleghi: “Ragazzi domani mattina quando arrivo chiedetemi di mostrarvi l’itinerario che ho fatto stasera”. Un impegno condiviso è un impegno che ha molte più possibilità di essere rispettato.

3) Prima di uscire prepara a casa il percorso. Decidi prima quanti km (o minuti, se sei proprio all’inizio) vuoi correre. Poi apri google maps, cerca un parco, se è troppo lontano ricorda le ultime passeggiate attorno a casa tua, cerca di percorrere strade con pochi semafori o turisti (qui a Roma sono un vero ostacolo :)

4) Supera quel senso di imbarazzo nell’essere vestita in pubblico con colori improbabili e led luminosi (se corri di sera sono obbligatori), e anzi, goditi gli sguardi dei passanti: sono solo invidiosi! Tu ti sei alzata dal divano. Non sei rimasta a casa. Stai facendo muovere il tuo corpo!

5) Poniti un obiettivo ambizioso: per esempio, iscriviti a una gara. Lo so, tu corri solo per stare bene, non ti interessa la competizione, ma prova a sfidare le tue certezze. È un momento molto divertente, passi del tempo con altre persone che condividono la tua stessa passione e hai l’occasione per superare il limite di velocità/tempo dei chilometri percorsi finora.

6) Se hai paura di annoiarti prepara una playlist: l’idea di avere del tempo per te, per ascoltare la musica che preferisci, l’album del tuo artista preferito appena uscito, è un’ottima motivazione. E se hai bisogno di ispirazione, qui ne trovi una, molto lunga, tu prendi quello che ti serve :)


Ora esci e corri!

 


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Libri da regalare ai tuoi amici sportivi

Un libro è un ottimo regalo di Natale last minute, anche per gli sportivi o per i loro amici e familiari, per i “senza sport” che non comprendono come tu faccia a sacrificare le ore pigre della tua vita - la domenica mattina, la sera dopo il lavoro - per uscire a praticare corsa, nuoto, bici, arrampicata. Te ne consiglio sei.


Emiliano Poddi - Le vittorie imperfette (Feltrinelli)

Basket e scacchi. Stati Uniti e Unione Sovietica. Losanna e Londra, Monaco e Brindisi. La trama si muove attorno a questi assi ma il centro sono tre secondi decisivi: quelli della finale della partita di basket alle Olimpiadi di Monaco nel 1972. Una finale vinta dall’Urss 51 a 50, negli ultimi tre secondi appunto, che furono ripetuti e giocati per tre volte per una decisione di William Jones, l’allora presidente della Federazione Internazionale del Basket (FIBA). Saša Belov e Kevin Joyce, con il peso di essere diventati dei simboli di quel match, sono i protagonisti del romanzo. Ma la voce narrante è quella di Emiliano, che racconta la sua storia personale e quella dei suoi genitori come un viaggio tra i segni che portarono a quella epica partita.

“Il fatto è che alcuni sono tagliati per decidere la storia, altri per sorseggiare vodka di qualità scadente su una sdraio. Io e Valentina ce ne staremo a guardare. Dopodiché Kondrasin prese posto all’ombra della statua, le mani intrecciate sulla nuca. Aveva l’aria di uno che, in tutta sicurezza, si preparasse ad assistere a uno spettacolo crudele. Alcuni dei suoi giocatori stavano per commettere un errore che li avrebbe tenuti svegli la notte per il resto dei loro giorni”.

A perdifiato - Mauro Covacich (Einaudi)

Un maratoneta, Dario Rensich viene chiamato dalla Federazione ad allenare una squadra di giovani atlete in Ungheria. Dario vive a Trieste, dove con la moglie sta aspettando “la chiamata” che confermi l’adozione della loro figlia Fiona. Lui, suo malgrado, accetta. E da quel momento si incasinerà la vita, parecchio. Ma porterà anche un gruppo di mezze fondiste a concludere la loro prima maratona. È un libro che finisci in pochi giorni, se stai preparando una gara, ma anche se, come lettore, sei affascinato dai personaggi alla Barney Panofsky: non sai perché, ma ogni piccola decisione è quella che li porta verso il baratro e tu stai sempre dalla loro parte.

“Resistere alla più alta velocità possibile per una strada così lunga è la cosa più bella che una mente umana possa produrre. La mente non è il cervello, è il sistema del corpo che pensa (...). Ecco, il corpo che pensa raggiunge il più alto grado di bellezza nella maratona. Credo che ciò varrebbe anche se sapessimo volare”.


Open - Andre Agassi

Si narra che una giovane lettrice entusiasta, dopo aver chiuso il libro che raccontava la biografia di Agassi, andasse in giro per la città chiedendo a chiunque ma tu, l’hai letto?” e obbligasse il malcapitato di turno a procurarsene una copia. Open racconta la biografia del tennista Andre Agassi e ti consiglio di leggerlo perché fa capire quanto lavoro c’è dietro quello che giornali e televisioni presentano semplicemente come “un campione”, quanta sofferenza, rinunce, solitudine e incomprensioni. Va bene anche se non sai niente di tennis, anche se non sai chi è Agassi. Ti verrà voglia di andare a guardare le sue partite più celebri su Youtube, con il libro in mano. Ah, se non ti ho ancora convinto, devi sapere che l’autore di Open in realtà è J. R. Moehringer, giornalista del New York Times e premio Pulitzer.

“Corro in auto e trovo il mio completo da tennis sul sedile posteriore. Me lo metto e torno da mio padre. Gli porgo la mia divisa da calcio. Lui entra in campo e la getta sul petto dell’allenatore. Guidando verso casa papà dice senza guardarmi: non giocherai mai più a calcio. Lo supplico di concedermi un’altra possibilità. Gli dico che non mi piace stare da solo in quell’enorme campo da tennis. Il tennis è uno sport solitario, gli dico. Non c’è un posto dove nascondersi quando le cose vanno male. Niente panchina, niente bordo campo, nessun angolo neutrale. Ci sei solo tu, nudo”.


Resisto dunque sono e Perseverare è umano  - Pietro Trabucchi

I libri di Trabucchi non li ho ancora letti ma sono in questa lista perché me li ha consigliati il mio allenatore. E Trabucchi è uno psicologo, torniamo a mente e corpo, corpo e mente, quindi Babbo Natale, se ci sei, è qui che devi prendere appunti e metterli in ordine o chiederli al tuo libraio di fiducia, grazie.

"Il mondo dello sport estremizza lo stress. E premia chi lo sa gestire meglio. Di conseguenza, ogni atleta dovrebbe caratterizzarsi per essere, per prima cosa, una persona capace di governare le difficoltà. Qualcuno disposto ad affrontare un problema dietro l’altro, a misurarsi con tutti i tipi di disagio, a reggere a stress estremi. Un individuo, per farla breve, molto resiliente. Non importa a quale disciplina appartenga. Che sia un podista, un nuotatore, un ciclista. Per prima cosa un atleta dovrebbe essere qualcuno costruito per affrontare e reggere le avversità."


A due passi dalla metà - Francesca Sanzo

Francesca Sanzo la conosco online dai tempi del blog Panzallaria. Quando eravamo tutti su internet con i nickname e facevamo il possibile per nascondere le nostre vere identità. Poi è arrivato Facebook e sapete com'è andata a finire. Scopro che Francesca ha continuato a scrivere, non solo sul blog, ma ha pubblicato un libro, 102 chili sull’anima, che racconta il suo percorso per uscire dalla muta dell’obesità e poi, quest’anno, A due passi dalla metà, dove si chiede non solo come mantenere la forma fisica, ma soprattutto una mente in grado di mettere sempre in dubbio le definizioni che diamo di noi stessi e che rischiano di fermare il cambiamento: “non sono portata per lo sport, sono grassa di natura, ci sei riuscita una volta a dimagrire, ora tornerai quella di prima”. Francesca racconta molte cose che sono capitate anche a me, praticamente nello stesso arco temporale: dal 2013 al 2015, un percorso di scoperta di sé che passa anche dall’osservare il proprio corpo e dal prendersene cura. È un libro che devi leggere se pensi che lo sport non sia per te, se nella tua testa c’è una voce che ti racconta come dovresti essere, come sei...e non l’hai mai messa in dubbio.  

"Mi nascondevo dietro al “Non me ne importa” e al “Non sono queste le cose che contano, nella vita”. Mi sforzavo di credere di potere essere tutto quello che volevo malgrado il peso, ma mi sabotavo continuamente e non agivo mai per realizzare quello che volevo, mettendo sempre qualche paletto tra me e i miei progetti. Il peso era la più grande giustificazione a rimanere immobile e – poiché ero governata dalla paura e dalla rabbia – l’immobilità mi sembrava probabilmente la situazione più confortevole cui ambire. [...] Quello che ho imparato correndo lo metto in pratica ogni giorno e quello che mi ha insegnato fare la muta e affrontare il cambiamento è la mappa con cui leggo il territorio."

I Giorni Selvaggi, Una vita sulle onde - William Finnegan

Concludo con un altro messaggio subliminale per chi deve ancora comprarmi un regalo. Ho letto solo l’estratto dei Giorni Selvaggi di Finnegan, ma anche lui è un Pulitzer, il libro comincia alle Hawaii e racconta un’ossessione, quella per “l’arte del surf”: «Le onde sono il tuo campo da gioco» scrive Finnegan «sono l’oggetto dei tuoi desideri e della tua adorazione e più profonda». Sento che c’è affinità.

"Il pomeriggio del nostro arrivo, durante la mia prima febbrile ricognizione delle acque locali, rimasi abbastanza sconcertato dal mare che trovai. Le onde si infrangevano qua e là lungo il margine esterno di una barriera corallina piuttosto muschiosa nei punti in cui affiorava in superficie. Tutto quel corallo mi impensieriva. Aveva la pessima fama di essere pericoloso e tagliente. Poi d’un tratto notai, verso ovest, molto al largo, un minuetto familiare di figurine stilizzate che si alzavano e si abbassavano in controluce sotto il sole pomeridiano. Surfisti! Ripercorsi il sentiero a tutta velocità."        


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Ma quindi ti piace fare fatica?

Contenta lei, è il commento di un turista che mi passa accanto mentre sfreccio correndo di fianco al Colosseo una mattina dello scorso novembre, cercando di tornare a casa in tempo per una doccia e una colazione e prima di entrare a lavoro. 

In effetti sì, contenta me. Pratico uno sport che mi mette di buon umore.

"Ma vi ho visti voi runner, al parco, non sorridete mai. Non vendeteci che correre è divertente", commentava qualche mese fa Dietnam su Snapchat.

Be’, dipende. Io sorrido quando incrocio un runner che mi saluta (è buona pratica, fatelo a che voi!), quando un’auto decide di risparmiarmi la vita e mi permette di attraversare sulle strisce, quando sento che sto rispettando il ritmo previsto dall’allenamento o quando vedo il Lungotevere libero e so di potermi godere qualche chilometro in solitudine prima di arrivare a casa e avere a che fare con lo stress della quotidianità. Però è un sorriso che dura pochi secondi.

Se l'allenamento è particolarmente duro, se quel giorno non te la sentivi proprio di uscire ma sei lì, con lo sguardo concentrato sulla linea dell’orizzonte, se è l’ennesima prova che ti imponi per aumentare i chilometri della tua uscita, ma hai ancora il fiato corto e i muscoli dolenti, è vero, non sorridi. Anzi, probabilmente soffri. Provi gli effetti della Fatica.

La percezione della fatica è diversa se hai appena cominciato, se ti prepari alla tua prima gara importante o se trovi nello sport che pratichi la soddisfazione di aver superato i tuoi limiti. Per me, un minuto di plank è una fatica inaccettabile. I plank non mi danno nessuna soddisfazione, non sorrido mai, né durante, né dopo (però fanno bene, e allora soffro, sì, e mi dò da fare).

La fatica che dà il senso alle uscite settimanali incastrate tra mille impegni, quelle che programmiamo nonostante le scuse, è quella di cui parla Federica Pellegrini dopo aver perso la finale 200 stile libero alle Olimpiadi di Rio:

«Non è un dolore di uno che accetta quello che è successo, anzi è un dolore di una che sa cos'ha fatto quest'anno. La determinazione che ci ha messo...il mazzo che si è fatta.. I pianti per i dolori e per la fatica...lo svegliarsi la mattina e dopo 7 ore di sonno sentirsi come se ti avessero appena preso a pugni quanta è ancora la stanchezza»

È quella che si respira dalle parole di Gregorio Paltrinieri, anche lui nuotatore, campione dei 1500m, intervistato su Rivista Undici:

«Pensa che quando gli altri vengono ad allenarsi a Ostia ci domandano “ma come fate a tenere questo regime così alto?”. È il Moro, lui non dà pause, ogni allenamento è volto a cercare di ottenere il massimo. E poi ci sfondiamo in palestra. Ci sono giorni che dopo l’allenamento del mattino impiego cinque minuti ad uscire dalla vasca, non ho neppure la forza di arrivare in camera. Vorrei solo sdraiarmi e dormire. Solo che alle 18 siamo da capo. Si ricomincia».

È fatica, ma è anche pura bellezza. Io la farei studiare a scuola, la fatica.


SHOOT THE RUNNER

di Donata Columbro

Giornalista e consulente digitale con una missione: aiutare le storie a incontrare i lettori. Scrive di Africa e attivismo digitale su Internazionale, Wired Italia, Vita.it. Corre per godersi Roma quando non c'è nessuno per strada e lo racconta spesso su Snapchat (@dontyna).

 

 

 

Una borsa di scuse

Il caldo. Il freddo. La pioggia. Il costo. Il fatto che sia gratis. Il sonno. Il tempo. Perché c’è l’aria condizionata. Perché non c’è l’aria condizionata. Vado stasera. Vado domani. È buio. C’è il sole. Sono da sola. C’è troppa gente. Mi stanco. Mi annoio.

“Ma come fai ad avere così costanza con l’attività fisica?” Esco tre volte a settimana, corro, soprattutto. Come faccio? Prima di tutto ho un obiettivo: prima era dimagrire, ora è essere più veloce e resistente per correre la mia prima maratona. Poi, ho imparato a riconoscere le scuse che il cervello mi mette davanti praticamente a ogni allenamento - anche gli sportivi più motivati, se sono sinceri, vi diranno che uscire alle 6 del mattino o la sera dopo una giornata di lavoro non diventa “facile”. Solo, si riesce a riconoscere il benessere che si prova e lo si mette davanti al resto. Con fatica, non neghiamolo. Quello che vi propongo oggi è una specie di gioco: il fact checking delle scuse che vi impediscono di fare sport. Valgono per la corsa, che è lì portata di mano, ma anche per la palestra o per la piscina.

Sta arrivando l’inverno, la prima cosa che verrà in mente è che dovete smettere di uscire a correre perché “fa freddo”. Allora. Parliamone ragazze. L’inverno a Roma non è inverno. Vengo da Torino, ho vissuto in Norvegia, se la temperatura non scende sotto zero siamo tranquille. E anche in quel caso si può uscire con precauzioni. Il freddo è una barriera facilmente superabile con una cosa che noi amiamo: un po’ di sano shopping in un negozio sportivo. Una tutina dai colori flashanti, giacca antivento e via. Non vestitevi troppo però: il corpo in attività fisica percepisce almeno 10 gradi in più di quelli indicati dal termometro. Di solito sopra i 10 gradi uso ancora le maniche corte, ma, in caso copro bene le orecchie con una fascia.

“Non ho tempo”. È impossibile. Ce l’hai. Devi solo trovarlo. Mezz’ora la mattina prima di andare a lavoro? Mezzora in pausa pranzo? Il sabato? La domenica? Quando torni a casa? 30 minuti. All’inizio conceditene solo 30. Cronometra quanto tempo stai su Facebook quando torni dall’università o da lavoro e poi dimmi se non puoi usare gli stessi minuti per una corsa.

Se invece pensi di poterti ricavare almeno un’ora, possiamo anche considerare la palestra o la piscina: per me questi due luoghi erano dei mangiatempo incredibili, nella mia mente andare in piscina occupava almeno 3 ore della giornata. “Oddio la pisciiina, devo avere mezza giornata libera”. Falso. Prepari la borsa la sera prima, trovi una piscina vicino a casa o vicino al lavoro e unisci il percorso per andarci a quelli di andata/ritorno dall’ufficio. 40 minuti di vasche, più 20 di doccia/capelli (i miei non si asciugano mai, se siete fortunate ci mettete anche di meno).

Ora tocca a te. Cosa ti impedisce di fare lo sport che preferisci? Se vuoi, scrivilo tra i commenti e factcheckiamolo insieme.

PS: Questa nella foto è Valeria Straneo, maratoneta olimpica italiana (corre i 42 chilometri in 2h23'44", meno di quanto ci metterebbe un autobus Atac). Anche Valeria odia il freddo, il vento e la pioggia. Anche lei vorrebbe starsene sotto le coperte al mattino. Non credeteci quando vi dicono che è "facile". Ma credeteci quando vi dicono che è bello.

 

 


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di Donata Columbro

Giornalista e consulente digitale con una missione: aiutare le storie a incontrare i lettori. Scrive di Africa e attivismo digitale su Internazionale, Wired Italia, Vita.it. Corre per godersi Roma quando non c'è nessuno per strada e lo racconta spesso su Snapchat (@dontyna).

 

La prima volta

Sono le 7:45 di un martedì mattina e mi chiedo come sia possibile che solo un'ora fa io stessi dormendo beata sotto le coperte. Ora invece vado avanti e indietro per una corsia di venticinque metri piena d’acqua e cloro. Solo un anno fa mi sembrava inimmaginabile, nonché contrario alla convenzione dei diritti umani di Ginevra, poter fare attività fisica prima di mezzogiorno. Invece eccomi qui, nel cuore della notte, per citare zia Mame, a sgambettare su e giù in stile libero sperando di coprire almeno una distanza di 1500 metri in 50 minuti senza svenire davanti all’ottantatrenne che condivide con me la corsia. Sei autonoma sui 2 km?, mi ha chiesto il coach prima di darmi la tabella di allenamento. “Cosa vuol dire?”, ho pensato, anzi, forse gliel’ho anche detto. Prima di avere un allenatore non avevo mai misurato la distanza percorsa in piscina: venti vasche mi sembravano già abbastanza per concedermi una melanzana alla parmigiana serale. Devo dire la verità: il mio sport non è il nuoto, è la corsa, ma sono momentaneamente in pausa per un infortunio e, per il bene mio e di chi mi circonda, ho dovuto cercare un'attività sostitutiva per evitare crisi isteriche da astinenza di endorfine.

Tutto lo sport è quella cosa che ti riempie la vita di prime volte: "Toh, chi l'avrebbe mai detto!", è una frase che ripeto spesso da quando ho cominciato a correre, tre anni fa. Settembre 2013, era appena arrivato Spotify su mobile in Italia e le temperature esterne permettevano di uscire senza sentire troppo freddo per rientrare subito o troppo caldo per svenire per strada. La prima volta che ho corso 38 minuti di seguito ho incrociato mia madre per strada e sono andata a dirglielo. Poi ho cominciato a guardare a quanti chilometri corrispondessero quei minuti di fatica ininterrotta. E la prima volta che ho corso per 8 chilometri ho baciato l’asfalto. Giuro. Era successo dopo tre mesi, dicembre, tre mesi di uscite e miglioramenti. E di "toh guarda, non muoio se non mi fermo quando ho il fiatone".

La prima volta che raggiungi dei traguardi nuovi con lo sport ti senti una semidivinità: otto vasche senza fermarmi! Quattro chilometri senza rallentare! Tre plank da un minuto senza perdere l’uso delle braccia! E torni a casa con quello sguardo stralunato e pazzo che solo gli attori di serie tv Dexter e How to get away with murder saprebbero interpretare. Gli altri - i senzasport - ti guardano come un marziano o qualcuno da cui stare molto molto lontano. Tu continui a provarci e tornare a casa felice, con tutte le tue prime volte.

 


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