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Libri da regalare ai tuoi amici sportivi

Un libro è un ottimo regalo di Natale last minute, anche per gli sportivi o per i loro amici e familiari, per i “senza sport” che non comprendono come tu faccia a sacrificare le ore pigre della tua vita - la domenica mattina, la sera dopo il lavoro - per uscire a praticare corsa, nuoto, bici, arrampicata. Te ne consiglio sei.


Emiliano Poddi - Le vittorie imperfette (Feltrinelli)

Basket e scacchi. Stati Uniti e Unione Sovietica. Losanna e Londra, Monaco e Brindisi. La trama si muove attorno a questi assi ma il centro sono tre secondi decisivi: quelli della finale della partita di basket alle Olimpiadi di Monaco nel 1972. Una finale vinta dall’Urss 51 a 50, negli ultimi tre secondi appunto, che furono ripetuti e giocati per tre volte per una decisione di William Jones, l’allora presidente della Federazione Internazionale del Basket (FIBA). Saša Belov e Kevin Joyce, con il peso di essere diventati dei simboli di quel match, sono i protagonisti del romanzo. Ma la voce narrante è quella di Emiliano, che racconta la sua storia personale e quella dei suoi genitori come un viaggio tra i segni che portarono a quella epica partita.

“Il fatto è che alcuni sono tagliati per decidere la storia, altri per sorseggiare vodka di qualità scadente su una sdraio. Io e Valentina ce ne staremo a guardare. Dopodiché Kondrasin prese posto all’ombra della statua, le mani intrecciate sulla nuca. Aveva l’aria di uno che, in tutta sicurezza, si preparasse ad assistere a uno spettacolo crudele. Alcuni dei suoi giocatori stavano per commettere un errore che li avrebbe tenuti svegli la notte per il resto dei loro giorni”.

A perdifiato - Mauro Covacich (Einaudi)

Un maratoneta, Dario Rensich viene chiamato dalla Federazione ad allenare una squadra di giovani atlete in Ungheria. Dario vive a Trieste, dove con la moglie sta aspettando “la chiamata” che confermi l’adozione della loro figlia Fiona. Lui, suo malgrado, accetta. E da quel momento si incasinerà la vita, parecchio. Ma porterà anche un gruppo di mezze fondiste a concludere la loro prima maratona. È un libro che finisci in pochi giorni, se stai preparando una gara, ma anche se, come lettore, sei affascinato dai personaggi alla Barney Panofsky: non sai perché, ma ogni piccola decisione è quella che li porta verso il baratro e tu stai sempre dalla loro parte.

“Resistere alla più alta velocità possibile per una strada così lunga è la cosa più bella che una mente umana possa produrre. La mente non è il cervello, è il sistema del corpo che pensa (...). Ecco, il corpo che pensa raggiunge il più alto grado di bellezza nella maratona. Credo che ciò varrebbe anche se sapessimo volare”.


Open - Andre Agassi

Si narra che una giovane lettrice entusiasta, dopo aver chiuso il libro che raccontava la biografia di Agassi, andasse in giro per la città chiedendo a chiunque ma tu, l’hai letto?” e obbligasse il malcapitato di turno a procurarsene una copia. Open racconta la biografia del tennista Andre Agassi e ti consiglio di leggerlo perché fa capire quanto lavoro c’è dietro quello che giornali e televisioni presentano semplicemente come “un campione”, quanta sofferenza, rinunce, solitudine e incomprensioni. Va bene anche se non sai niente di tennis, anche se non sai chi è Agassi. Ti verrà voglia di andare a guardare le sue partite più celebri su Youtube, con il libro in mano. Ah, se non ti ho ancora convinto, devi sapere che l’autore di Open in realtà è J. R. Moehringer, giornalista del New York Times e premio Pulitzer.

“Corro in auto e trovo il mio completo da tennis sul sedile posteriore. Me lo metto e torno da mio padre. Gli porgo la mia divisa da calcio. Lui entra in campo e la getta sul petto dell’allenatore. Guidando verso casa papà dice senza guardarmi: non giocherai mai più a calcio. Lo supplico di concedermi un’altra possibilità. Gli dico che non mi piace stare da solo in quell’enorme campo da tennis. Il tennis è uno sport solitario, gli dico. Non c’è un posto dove nascondersi quando le cose vanno male. Niente panchina, niente bordo campo, nessun angolo neutrale. Ci sei solo tu, nudo”.


Resisto dunque sono e Perseverare è umano  - Pietro Trabucchi

I libri di Trabucchi non li ho ancora letti ma sono in questa lista perché me li ha consigliati il mio allenatore. E Trabucchi è uno psicologo, torniamo a mente e corpo, corpo e mente, quindi Babbo Natale, se ci sei, è qui che devi prendere appunti e metterli in ordine o chiederli al tuo libraio di fiducia, grazie.

"Il mondo dello sport estremizza lo stress. E premia chi lo sa gestire meglio. Di conseguenza, ogni atleta dovrebbe caratterizzarsi per essere, per prima cosa, una persona capace di governare le difficoltà. Qualcuno disposto ad affrontare un problema dietro l’altro, a misurarsi con tutti i tipi di disagio, a reggere a stress estremi. Un individuo, per farla breve, molto resiliente. Non importa a quale disciplina appartenga. Che sia un podista, un nuotatore, un ciclista. Per prima cosa un atleta dovrebbe essere qualcuno costruito per affrontare e reggere le avversità."


A due passi dalla metà - Francesca Sanzo

Francesca Sanzo la conosco online dai tempi del blog Panzallaria. Quando eravamo tutti su internet con i nickname e facevamo il possibile per nascondere le nostre vere identità. Poi è arrivato Facebook e sapete com'è andata a finire. Scopro che Francesca ha continuato a scrivere, non solo sul blog, ma ha pubblicato un libro, 102 chili sull’anima, che racconta il suo percorso per uscire dalla muta dell’obesità e poi, quest’anno, A due passi dalla metà, dove si chiede non solo come mantenere la forma fisica, ma soprattutto una mente in grado di mettere sempre in dubbio le definizioni che diamo di noi stessi e che rischiano di fermare il cambiamento: “non sono portata per lo sport, sono grassa di natura, ci sei riuscita una volta a dimagrire, ora tornerai quella di prima”. Francesca racconta molte cose che sono capitate anche a me, praticamente nello stesso arco temporale: dal 2013 al 2015, un percorso di scoperta di sé che passa anche dall’osservare il proprio corpo e dal prendersene cura. È un libro che devi leggere se pensi che lo sport non sia per te, se nella tua testa c’è una voce che ti racconta come dovresti essere, come sei...e non l’hai mai messa in dubbio.  

"Mi nascondevo dietro al “Non me ne importa” e al “Non sono queste le cose che contano, nella vita”. Mi sforzavo di credere di potere essere tutto quello che volevo malgrado il peso, ma mi sabotavo continuamente e non agivo mai per realizzare quello che volevo, mettendo sempre qualche paletto tra me e i miei progetti. Il peso era la più grande giustificazione a rimanere immobile e – poiché ero governata dalla paura e dalla rabbia – l’immobilità mi sembrava probabilmente la situazione più confortevole cui ambire. [...] Quello che ho imparato correndo lo metto in pratica ogni giorno e quello che mi ha insegnato fare la muta e affrontare il cambiamento è la mappa con cui leggo il territorio."

I Giorni Selvaggi, Una vita sulle onde - William Finnegan

Concludo con un altro messaggio subliminale per chi deve ancora comprarmi un regalo. Ho letto solo l’estratto dei Giorni Selvaggi di Finnegan, ma anche lui è un Pulitzer, il libro comincia alle Hawaii e racconta un’ossessione, quella per “l’arte del surf”: «Le onde sono il tuo campo da gioco» scrive Finnegan «sono l’oggetto dei tuoi desideri e della tua adorazione e più profonda». Sento che c’è affinità.

"Il pomeriggio del nostro arrivo, durante la mia prima febbrile ricognizione delle acque locali, rimasi abbastanza sconcertato dal mare che trovai. Le onde si infrangevano qua e là lungo il margine esterno di una barriera corallina piuttosto muschiosa nei punti in cui affiorava in superficie. Tutto quel corallo mi impensieriva. Aveva la pessima fama di essere pericoloso e tagliente. Poi d’un tratto notai, verso ovest, molto al largo, un minuetto familiare di figurine stilizzate che si alzavano e si abbassavano in controluce sotto il sole pomeridiano. Surfisti! Ripercorsi il sentiero a tutta velocità."        


SHOOT THE RUNNER

di Donata Columbro

Giornalista e consulente digitale con una missione: aiutare le storie a incontrare i lettori. Scrive di Africa e attivismo digitale su InternazionaleWired ItaliaVita.it. Corre per godersi Roma quando non c'è nessuno per strada e lo racconta spesso su Snapchat (@dontyna).

 

 

 

Ma quindi ti piace fare fatica?

Contenta lei, è il commento di un turista che mi passa accanto mentre sfreccio correndo di fianco al Colosseo una mattina dello scorso novembre, cercando di tornare a casa in tempo per una doccia e una colazione e prima di entrare a lavoro. 

In effetti sì, contenta me. Pratico uno sport che mi mette di buon umore.

"Ma vi ho visti voi runner, al parco, non sorridete mai. Non vendeteci che correre è divertente", commentava qualche mese fa Dietnam su Snapchat.

Be’, dipende. Io sorrido quando incrocio un runner che mi saluta (è buona pratica, fatelo a che voi!), quando un’auto decide di risparmiarmi la vita e mi permette di attraversare sulle strisce, quando sento che sto rispettando il ritmo previsto dall’allenamento o quando vedo il Lungotevere libero e so di potermi godere qualche chilometro in solitudine prima di arrivare a casa e avere a che fare con lo stress della quotidianità. Però è un sorriso che dura pochi secondi.

Se l'allenamento è particolarmente duro, se quel giorno non te la sentivi proprio di uscire ma sei lì, con lo sguardo concentrato sulla linea dell’orizzonte, se è l’ennesima prova che ti imponi per aumentare i chilometri della tua uscita, ma hai ancora il fiato corto e i muscoli dolenti, è vero, non sorridi. Anzi, probabilmente soffri. Provi gli effetti della Fatica.

La percezione della fatica è diversa se hai appena cominciato, se ti prepari alla tua prima gara importante o se trovi nello sport che pratichi la soddisfazione di aver superato i tuoi limiti. Per me, un minuto di plank è una fatica inaccettabile. I plank non mi danno nessuna soddisfazione, non sorrido mai, né durante, né dopo (però fanno bene, e allora soffro, sì, e mi dò da fare).

La fatica che dà il senso alle uscite settimanali incastrate tra mille impegni, quelle che programmiamo nonostante le scuse, è quella di cui parla Federica Pellegrini dopo aver perso la finale 200 stile libero alle Olimpiadi di Rio:

«Non è un dolore di uno che accetta quello che è successo, anzi è un dolore di una che sa cos'ha fatto quest'anno. La determinazione che ci ha messo...il mazzo che si è fatta.. I pianti per i dolori e per la fatica...lo svegliarsi la mattina e dopo 7 ore di sonno sentirsi come se ti avessero appena preso a pugni quanta è ancora la stanchezza»

È quella che si respira dalle parole di Gregorio Paltrinieri, anche lui nuotatore, campione dei 1500m, intervistato su Rivista Undici:

«Pensa che quando gli altri vengono ad allenarsi a Ostia ci domandano “ma come fate a tenere questo regime così alto?”. È il Moro, lui non dà pause, ogni allenamento è volto a cercare di ottenere il massimo. E poi ci sfondiamo in palestra. Ci sono giorni che dopo l’allenamento del mattino impiego cinque minuti ad uscire dalla vasca, non ho neppure la forza di arrivare in camera. Vorrei solo sdraiarmi e dormire. Solo che alle 18 siamo da capo. Si ricomincia».

È fatica, ma è anche pura bellezza. Io la farei studiare a scuola, la fatica.


SHOOT THE RUNNER

di Donata Columbro

Giornalista e consulente digitale con una missione: aiutare le storie a incontrare i lettori. Scrive di Africa e attivismo digitale su Internazionale, Wired Italia, Vita.it. Corre per godersi Roma quando non c'è nessuno per strada e lo racconta spesso su Snapchat (@dontyna).

 

 

 

Una borsa di scuse

Il caldo. Il freddo. La pioggia. Il costo. Il fatto che sia gratis. Il sonno. Il tempo. Perché c’è l’aria condizionata. Perché non c’è l’aria condizionata. Vado stasera. Vado domani. È buio. C’è il sole. Sono da sola. C’è troppa gente. Mi stanco. Mi annoio.

“Ma come fai ad avere così costanza con l’attività fisica?” Esco tre volte a settimana, corro, soprattutto. Come faccio? Prima di tutto ho un obiettivo: prima era dimagrire, ora è essere più veloce e resistente per correre la mia prima maratona. Poi, ho imparato a riconoscere le scuse che il cervello mi mette davanti praticamente a ogni allenamento - anche gli sportivi più motivati, se sono sinceri, vi diranno che uscire alle 6 del mattino o la sera dopo una giornata di lavoro non diventa “facile”. Solo, si riesce a riconoscere il benessere che si prova e lo si mette davanti al resto. Con fatica, non neghiamolo. Quello che vi propongo oggi è una specie di gioco: il fact checking delle scuse che vi impediscono di fare sport. Valgono per la corsa, che è lì portata di mano, ma anche per la palestra o per la piscina.

Sta arrivando l’inverno, la prima cosa che verrà in mente è che dovete smettere di uscire a correre perché “fa freddo”. Allora. Parliamone ragazze. L’inverno a Roma non è inverno. Vengo da Torino, ho vissuto in Norvegia, se la temperatura non scende sotto zero siamo tranquille. E anche in quel caso si può uscire con precauzioni. Il freddo è una barriera facilmente superabile con una cosa che noi amiamo: un po’ di sano shopping in un negozio sportivo. Una tutina dai colori flashanti, giacca antivento e via. Non vestitevi troppo però: il corpo in attività fisica percepisce almeno 10 gradi in più di quelli indicati dal termometro. Di solito sopra i 10 gradi uso ancora le maniche corte, ma, in caso copro bene le orecchie con una fascia.

“Non ho tempo”. È impossibile. Ce l’hai. Devi solo trovarlo. Mezz’ora la mattina prima di andare a lavoro? Mezzora in pausa pranzo? Il sabato? La domenica? Quando torni a casa? 30 minuti. All’inizio conceditene solo 30. Cronometra quanto tempo stai su Facebook quando torni dall’università o da lavoro e poi dimmi se non puoi usare gli stessi minuti per una corsa.

Se invece pensi di poterti ricavare almeno un’ora, possiamo anche considerare la palestra o la piscina: per me questi due luoghi erano dei mangiatempo incredibili, nella mia mente andare in piscina occupava almeno 3 ore della giornata. “Oddio la pisciiina, devo avere mezza giornata libera”. Falso. Prepari la borsa la sera prima, trovi una piscina vicino a casa o vicino al lavoro e unisci il percorso per andarci a quelli di andata/ritorno dall’ufficio. 40 minuti di vasche, più 20 di doccia/capelli (i miei non si asciugano mai, se siete fortunate ci mettete anche di meno).

Ora tocca a te. Cosa ti impedisce di fare lo sport che preferisci? Se vuoi, scrivilo tra i commenti e factcheckiamolo insieme.

PS: Questa nella foto è Valeria Straneo, maratoneta olimpica italiana (corre i 42 chilometri in 2h23'44", meno di quanto ci metterebbe un autobus Atac). Anche Valeria odia il freddo, il vento e la pioggia. Anche lei vorrebbe starsene sotto le coperte al mattino. Non credeteci quando vi dicono che è "facile". Ma credeteci quando vi dicono che è bello.

 

 


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di Donata Columbro

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La prima volta

Sono le 7:45 di un martedì mattina e mi chiedo come sia possibile che solo un'ora fa io stessi dormendo beata sotto le coperte. Ora invece vado avanti e indietro per una corsia di venticinque metri piena d’acqua e cloro. Solo un anno fa mi sembrava inimmaginabile, nonché contrario alla convenzione dei diritti umani di Ginevra, poter fare attività fisica prima di mezzogiorno. Invece eccomi qui, nel cuore della notte, per citare zia Mame, a sgambettare su e giù in stile libero sperando di coprire almeno una distanza di 1500 metri in 50 minuti senza svenire davanti all’ottantatrenne che condivide con me la corsia. Sei autonoma sui 2 km?, mi ha chiesto il coach prima di darmi la tabella di allenamento. “Cosa vuol dire?”, ho pensato, anzi, forse gliel’ho anche detto. Prima di avere un allenatore non avevo mai misurato la distanza percorsa in piscina: venti vasche mi sembravano già abbastanza per concedermi una melanzana alla parmigiana serale. Devo dire la verità: il mio sport non è il nuoto, è la corsa, ma sono momentaneamente in pausa per un infortunio e, per il bene mio e di chi mi circonda, ho dovuto cercare un'attività sostitutiva per evitare crisi isteriche da astinenza di endorfine.

Tutto lo sport è quella cosa che ti riempie la vita di prime volte: "Toh, chi l'avrebbe mai detto!", è una frase che ripeto spesso da quando ho cominciato a correre, tre anni fa. Settembre 2013, era appena arrivato Spotify su mobile in Italia e le temperature esterne permettevano di uscire senza sentire troppo freddo per rientrare subito o troppo caldo per svenire per strada. La prima volta che ho corso 38 minuti di seguito ho incrociato mia madre per strada e sono andata a dirglielo. Poi ho cominciato a guardare a quanti chilometri corrispondessero quei minuti di fatica ininterrotta. E la prima volta che ho corso per 8 chilometri ho baciato l’asfalto. Giuro. Era successo dopo tre mesi, dicembre, tre mesi di uscite e miglioramenti. E di "toh guarda, non muoio se non mi fermo quando ho il fiatone".

La prima volta che raggiungi dei traguardi nuovi con lo sport ti senti una semidivinità: otto vasche senza fermarmi! Quattro chilometri senza rallentare! Tre plank da un minuto senza perdere l’uso delle braccia! E torni a casa con quello sguardo stralunato e pazzo che solo gli attori di serie tv Dexter e How to get away with murder saprebbero interpretare. Gli altri - i senzasport - ti guardano come un marziano o qualcuno da cui stare molto molto lontano. Tu continui a provarci e tornare a casa felice, con tutte le tue prime volte.

 


SHOOT THE RUNNER

di Donata Columbro

Giornalista e consulente digitale con una missione: aiutare le storie a incontrare i lettori. Scrive di Africa e attivismo digitale su Internazionale, Wired Italia, Vita.it. Corre per godersi Roma quando non c'è nessuno per strada e lo racconta spesso su Snapchat (@dontyna).